Tommaso
di - giovedì 27 novembre 2025 ore 08:00

Tommaso, il primogenito della mia famiglia di carta, si affaccia impaziente fin dalla prima riga del romanzo La neve e il Vermentino:
“Con una spinta decisa Tommaso spalancò le imposte di castagno, un po’ deformate dalle intemperie. Spalancò anche i polmoni e inspirò a fondo l’aria gelida della mattina; dilatò le narici e deglutì per assaggiare bene l’odore e il sapore dell’atmosfera, come suggeriva il vecchio Tonio. Non era bravo come lui, ma per un paio di volte l’aveva superato nelle previsioni di neve.”
È figlio di Sara, è nato nel ’68, e cresciuto senza padre, con lo zio Arturo che si è impegnato nel ruolo di supplente.
È un bel giovanotto robusto che fa il gestore di un rifugio fra le Apuane e la Garfagnana. Ama svisceratamente la montagna con la quale s’intende a meraviglia, nei silenzi delle sue escursioni solitarie:
“Di ricordo in ricordo, fece lunghe immersioni nelle essenze resinose delle abetaie e nell’aroma di muschio delle castagnete. Sniffò le essenze variegate dei boschi misti, si adagiò sulle cime, sprofondò nelle forre, risalì torrenti d’acqua non ancora ingentilita dal sole, seguì impronte di animali, cauto, fin quasi a toccarli.”
La sua laurea in biologia non è incorniciata al muro, ma vive in osmosi diretta con le mani e coi sensi, al punto di fargli costantemente percepire il dialogo stretto fra la scienza scritta sui libri e quella in essere dentro alle cose. Tommaso è profondamente convinto che non vi sia contrasto fra i saperi esperienziali dei suoi amici montanari e quelli teorici e sperimentali dei ricercatori universitari, con i quali ogni tanto scambia dati e notizie.
Vive nel rifugio per tutto l’anno e passa molto tempo da solo, ma questo non lo disturba, anzi.
Alle vicissitudini di una infanzia difficile si è aggiunta di recente una delusione, che non ha certamente addolcito il suo carattere già riservato, per non dire scorbutico.
L’arte del conversare non è il suo cavallo di battaglia, nonostante ami le belle lettere e sia innamorato dell’ottimo Leopardi.
Solo con l’ingegnere Franco Rosati parla volentieri, per la stima reciproca e forse perché, dall’amico più anziano, riceve sovente qualche surrogato tardivo di paternità.
Il Destino, che la sa lunga (come vedremo nel terzo libro), riserverà a Franco una blanda funzione di psicopompo, un Virgilio montanaro che accompagnerà Tommaso nelle burrascose vicende.
Tutto comincia nel solstizio d’inverno del 2007, con Tommaso che serve la cena agli ospiti nel rifugio:
“Era rimasto colpito da una di loro, una tipa piuttosto riservata, che appariva a suo agio più nell’ascoltare che nel parlare. Il volto tratteggiato da linee decise e un po’ spigolose, col trucco appena accennato, esponeva una bellezza schietta, non sdolcinata. Gli occhi, di un bel verde scuro, non erano a disagio nel confronto diretto e sostenevano lo sguardo con sicurezza, ma senza tracotanza.
Una donna piuttosto carina e molto particolare, troppo particolare per Tommaso che da anni non provava più una vera attrazione, se non sul piano strettamente fisico; non aveva ancora accettato quel vuoto accanto ...
Distratto dall’osservazione, non si era accorto che: “anche la donna gli aveva fatto le radiografie. Certo, lo aveva esaminato con l’occhio femminile, che scava mentre pare che scivoli via leggero, da non darne l’impressione. Erano state le mani a magnetizzare l’interesse dell’osservatrice. Belle mani, virili le definì dentro di sé, di sicuro abituate al lavoro, ma non sciupate e soprattutto non trascurate, rara avis per un montanaro. Il loro movimento era armonico mentre erano occupate: con forza quando spaccavano la legna, con garbo quando allestivano i tavoli. Non poté fare a meno di chiedersi come si sarebbero comportate sul corpo di una donna. Si spinse anche più in là, immaginando di essere lei quella donna. Il tintinnio dei cucchiaini la scosse e le fece perdere quell’aria distratta che aveva assunto; sperò che il rude uomo dei monti non l’ avesse notato.”
Il giorno successivo, durante una tempesta di neve, il rude uomo scoprirà che la donna si chiama Teresa, che è una brava ortopedica e che di secondo mestiere fa… la spia!
Da quel momento comincia la sarabanda di contrasti fra i due:
“Le due spigolose personalità, simili a magneti oscillanti, iniziano subito ad attrarsi con le differenze e a respingersi con le somiglianze…[dalla sinossi].
Toccherà prima alla neve, poi al Vermentino il compito di smussare provvisoriamente le asperità di entrambi.
Gli avvenimenti li potrete seguire nel libro, qui torniamo a Tommaso per avere conferma di come l’omonimia con l’apostolo incredulo non sia affatto casuale. Il montanaro sfoggia, più che mostrare, un abito giornaliero foderato di diffidenza verso il prossimo: una cautela nei rapporti umani sedimentata sulla pelle fino dall’infanzia vissuta senza il padre, eclissatosi prima della nascita.
Questa caratteristica lo spingerà a muoversi sempre come un elastico, con cedimenti e ritrazioni nei rapporti con gli altri attori del romanzo. A un certo punto si sentirà tradito anche dal suo cagnone, il Grigio, che lo lascerà per la dottoressa.
Andando oltre agli accadimenti e, scavando dentro il burbero montanaro, troviamo un fondo di bontà, di predisposizione verso una socialità non troppo allargata; più deciso emergerà il suo obbligo morale alla coerenza e un coraggio istintivo che gli fa rischiare la vita per soccorrere un pivello. Solo che queste sue buone qualità non sono evidenti, non emergono se non in caso di forte necessità. Le tiene sotto coperta, quasi avesse paura di esserne nuovamente depredato. Emergeranno nel corso della narrazione e le ritroveremo nel quarto libro, quando parleremo di Pietro, un artista presuntuoso che vuole scolpire la musica.
Per adesso lasciamo Tommaso nell’ultima pagina, in passeggiata fibrillante con Teresa, della quale ci occuperemo nel prossimo post.
I brani in corsivo sono tratti dal mio primo romanzo:
Dino Fiumalbi, La neve e il Vermentino, Carmignani, Cascina, 2015










