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Brevemondo domenica 09 marzo 2025 ore 06:30

Riarmo europeo, Macron, Zelensky, Israele-Hamas

Dal piano presentato da von der Leyen alla bomba di Macron, passando per le ultime dalla guerra in Ucraina alla fine della fase uno a Gaza



Alle armi, alle armi!

Nella seduta straordinaria del Consiglio europeo di questa settimana, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha presentato un piano di riarmo per i Paesi membri e per aumentare le spese dedicate alla difesa dal valore complessivo di 800 miliardi di euro. Per capirne la portata, basti pensare che il fondo Next Generation Eu, varato per sostenere gli Stati dell’Unione europea durante la pandemia da Covid, era di circa 750 miliardi. Inoltre, per le spese militari, i Paesi potranno aumentare il proprio debito senza curarsi del Patto di stabilità e, dunque, senza rischiare procedure di infrazione da parte della Commissione, nel limite di 650 miliardi di euro in quattro anni. Il piano, in via informale, è stato approvato dai 27 Stati membri.

La rapida corsa alle armi è soltanto l’ultima delle conseguenze dell’avvento di Donald Trump alla Casa bianca e dell’indirizzo assunto dalla sua amministrazione. Ovvero, quello di procedere verso un disimpegno militare nei confronti dell’Ucraina: lo stesso Trump, infatti, ha sospeso con effetto immediato gli aiuti per Kiev. Una mossa pensata anche per aumentare la pressione sul presidente Volodymyr Zelensky affinché accetti i negoziati di pace con la Russia.

Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen [Account X]

Ciò che invece non è stato approvato all’unanimità è proprio il rinnovato impegno dell’Unione europea nei confronti dell’Ucraina. L’intento spiegato nel comunicato diramato al termine della seduta straordinaria, in cui si parla della necessità di continuare a provvedere al supporto “politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico”, non ha evidentemente convinto l’Ungheria, che ha fatto mancare il suo voto favorevole. Resta da capire che cosa farà il primo ministro Viktor Orbán quando, tra 20 e 21 marzo, il Consiglio europeo dovrà adottare formalmente l’atto: in quel caso, il suo solo voto contrario sarà determinante.

La Francia ha imparato ad amare la bomba

In questa settimana il presidente francese Emmanuel Macron ha tenuto un discorso alla nazione per spiegare come il Paese e l'intera Unione europea si ritrovino in una scomoda quanto pericolosa posizione, sospesa tra la minaccia della Russia e l’imprevedibilità degli Stati Uniti. Per questo, ha detto Macron, è tempo che l’Europa si doti di uno strumento comune di difesa.

Il discorso ha avuto quasi un tono alla Charles de Gaulle, presidente francese tra 1959 e 1969, eroe di guerra e sorta di padre della Francia moderna. De Gaulle, del resto, è stato tra i più convinti assertori della necessità di creare uno spazio autonomo da Washington e da Mosca, dall’Atlantico agli Urali. Un progetto non da poco, considerando che era stato articolato nel bel mezzo della guerra fredda e che, soprattutto, avrebbe dovuto avere come punto di riferimento proprio Parigi. Perché? Perché a Parigi c’è la bomba atomica.

Oggi, Macron si fa promotore di un progetto che richiama quello di de Gaulle. L’idea sarebbe quella di garantire ai Paesi membri dell’Unione europea la copertura dell’ombrello atomico, la force de frappe, che renderebbe così del tutto sconveniente un attacco da parte della Russia. Attaccare una forza nucleare significa, di fatto, rischiare di porre fine a qualsiasi contesa bellica. Il progetto, da parte russa, ha raccolto naturalmente commenti negativi, con un richiamo storico eccellente: Putin, infatti, ha paragonato Macron a Napoleone, che invase la Russia, aggiungendo come la gente si dimentichi come si sia concluso quel fatto storico. Con la sconfitta di Napoleone, appunto.

Zelensky ha fatto (quasi) pace con Trump

Alla seduta del Consiglio europeo ha partecipato anche Zelensky, reduce da un lungo tour internazionale che, da Washington, lo ha portato anche a Londra e a Bruxelles. Dopo la sfuriata in mondovisione con Trump e il vicepresidente J.D. Vance, direttamente nello studio ovale, il presidente ucraino ha però ripreso a dialogare con l’amministrazione statunitense. Sospinto anche dal premier britannico Keir Starmer.

Nonostante Trump abbia pubblicamente affermato che sia ben più facile trattare con il presidente russo Vladimir Putin che con Zelensky, quest’ultimo ha seguito il consiglio londinese e ha ripreso i contatti. In un messaggio su X, Zelensky ha scritto che l’Ucraina è pronta a collaborare sotto la “forte leadership” di Donald Trump per giungere “a una pace durevole”. Come scritto ancora dal presidente ucraino, la lite a Washington è stata “deplorevole”, ma adesso è arrivato il momento di “rimettere le cose a posto”.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante il discorso al Congresso [Account X]

Questa mossa di Zelensky, che Trump ha pubblicamente apprezzato durante la seduta congiunta del Congresso statunitense, segnala come le opzioni per l’Ucraina siano davvero minime. Di fronte a un processo negoziale che sembra avviato, nonostante da Washington siano arrivate delle sanzioni contro la Russia proprio in questi giorni per spingere Mosca al cessate il fuoco, e di fronte a una posizione ancora ondivaga dell’Unione europea, Kiev sembra aver preso atto di doversi sedere a trattare. Volente o nolente.

Senza i satelliti americani Kiev cede

E pure sul campo di battaglia, le cose sembrano mettersi male per l’Ucraina. Kiev, ormai ad agosto 2024, aveva lanciato una controffensiva alla Russia prendendo possesso di diverse aree dell’oblast’ di Kursk, arrivando a estendere il proprio controllo per oltre mille chilometri quadrati. Un attacco pensato proprio per avere una carta da giocare durante le trattative. Nelle ultime ore, però, l’esercito di Mosca ha dato il via a una serie di attacchi pesanti che stanno costringendo l’Ucraina a riflettere sulla possibilità di ritiro dalla regione.

Non solo, perché la pressione russa è aumentata su tutto il fianco orientale dell’Ucraina, già in larga parte sotto il controllo militare di Mosca. Da qualche giorno, la Russia avrebbe sfondato anche nella regione di Sumy, occupando alcuni villaggi, mentre sono ricominciati i bombardamenti nel Donbass, che insieme a Luhansk sono le due repubbliche separatiste già nell’occhio del ciclone almeno un decennio. A quanto pare, inoltre, sarebbe a rischio anche la tenuta delle forze ucraine a Kharkiv.

I cedimenti e le difficoltà di Kiev, puntualmente messe in mostra dopo che Zelensky ha dato la propria disponibilità a trattare, sono anche dovuti al sopracitato taglio agli aiuti militari deciso da Trump. Del resto, gran parte delle difese ucraine sono coordinate dai satelliti statunitensi e dall’intelligence di Washington. Il disimpegno, di conseguenza, ha lasciato l’Ucraina sprovvista dei mezzi necessari ad anticipare le mosse di Mosca. Che in vista dei negoziati sta cercando di massimizzare il vantaggio.

La prima fase del cessate il fuoco è finita

Sono terminati i 42 giorni della prima fase del cessate il fuoco negoziato da Israele e Hamas per quanto riguarda il conflitto che va avanti dal 7 ottobre 2023. Le due parti stanno continuando a trattare al Cairo, in Egitto, anche se formalmente è già stata concordata una fase due che prevede il completo ritiro delle truppe israeliane da Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi ancora in vita da parte di Hamas, in cambio di alcuni detenuti palestinesi.

A quanto pare, le posizioni di Hamas e Israele restano inconciliabili. Da un lato, il governo di Benjamin Netanyahu appare piuttosto contrario all’ipotesi di abbandonare completamente la Striscia di Gaza e, di conseguenza, di interrompere la guerra; dall’altro, invece, Hamas spinge per arrivare a una fase più stabile del cessate il fuoco, che implichi il superamento del conflitto e il raggiungimento di una qualche forma di accordo duraturo.

Il primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu [Account X]

Quel che c’è di nuovo è che per la prima volta gli Stati Uniti stanno avendo un dialogo diretto con i referenti di Hamas. Lo ha detto lo stesso Trump, che ha rotto l’ennesimo tabù a stelle strisce, che impone a Washington di non trattare con i terroristi. Su Truth, il social dove il presidente degli Stati Uniti è molto attivo, questi ha anche lanciato una sorta di ultimatum ad Hamas, invitando il movimento palestinese a rilasciare tutti gli ostaggi israeliani che si trovano ancora nella Striscia di Gaza. Altrimenti, ha scritto, “è finita per voi”.

Il pezzo della settimana

Il discorso di Trump al Congresso degli Stati Uniti merita, se non una voce a sé, quantomeno una lettura dedicata. Nelle parole del presidente statunitense c’è stata la summa di questo primo mese e mezzo di nuovo nella stanza dei bottoni: dalla guerra commerciale coi dazi alla pace in Ucraina, dalle spese folli dei democratici - elencate in una divertente lista - alla Groenlandia. Eccolo qua.

La canzone della settimana

Nel clima del riarmo generale, con il ritorno della deterrenza nucleare, non resta che impegnarci.

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Franco Battiato - Up Patriots To Arms

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