Questo sito contribuisce alla audience di 
Toscana Media News quotidiano online.
Percorso semplificato Aggiornato alle 09:35 METEO:FIRENZE15°  QuiNews.net
Toscana Media News - Giornale Online
lunedì 22 dicembre 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Luciano Bianciardi

di Pierantonio Pardi - lunedì 22 dicembre 2025 ore 08:00

Un anarchico geniale tra Grosseto e Kansas City

Dalla quarta di copertina:

E’ il libro che rese subito popolare Bianciardi per la sua vena di ironista pronto a cogliere le manie e i tic che caratterizzano un individuo o un ambiente, ma privo del risentimento e del sussiego di certi moralisti di professione. Racconta la storia del periodo in cui mezza Italia, nata sotto il fascismo, fondava cineclub e circoli di cultura, apriva dibattiti, parlava di problemi e di istanze, progettava saggi sulla struttura culturale italiana. E nessuno come Bianciardi ha saputo descrivere quegli entusiasmi e le delusioni che ne seguirono, le vicende dei giovani che si credettero pionieri e riformatori e si scoprirono poi mediocri padri di famiglia.

Il lavoro culturale, pubblicato in prima edizione nel 1957 poi rivisto nel 1964 con l’aggiunta dell’appendice conclusiva “Ritorno a Kansas City”, è sicuramente uno dei primi resoconti critici della generazione del dopoguerra. Sdoppiato in due personaggi, opposti ma complementari, l’autore affida la voce narrante a Luciano Bianchi, calciatore mancato e antifascista. Questi, ripercorrendo la storia della formazione culturale del fratello Marcello, un intellettuale militante di provincia, mette in risalto con sferzante ironia la vanità dello sforzo e dell’entusiasmo profusi per l’emancipazione sociale della piccola Grosseto in espansione. L’occhio dissacrante di Luciano passa in rassegna tutte le organizzazioni politiche e i gruppi intellettuali della Grosseto postfascista, fornendo così un quadro vivo e articolato della composizione sociale e culturale della sua città al tempo della modernizzazione.

Difficile stabilirne il genere che, di fatto, è un ibrido tra autobiografia, pamphlet, saggio di costume; ma, fin dalle prime pagine, emerge l’insofferenza che Bianciardi nutriva per tutto ciò che “puzzasse” di istituzionale. “Alla Feltrinelli canzona il giaguaro Giangiacomo e la sua corte di micetti; al “Giorno” prende in giro Giorgio Bocca e le sue frequentazioni mondane; nella tribuna stampa di San Siro dà sui nervi a Gianni Brera parlandogli di filologia ungherese durante un attacco dell’Inter …” (da “L’Antimeridiano” intr. di Massimo Coppola e Alberto Piccinini)

Bianciardi è sempre stato un riferimento per i bibliotecari; sua l’invenzione del bibliobus che portava libri nelle zone più lontane dal centro di Grosseto. Ma nel primo capitolo de “Il lavoro culturale” ironizza su quella cultura dotta e locale (medievalisti, archeologi, eruditi) da cui lui prende subito le distanze in questa maniera:

Il senso vero della città, proprio quello che sfugge a quelle talpe di medievalisti eruditi ed a quelle cornacchie di archeologi, eccolo qui: la città tutta periferia, aperta, aperta ai venti ed ai forestieri, fatta di gente di tutti i paesi. Non somigliava, dicevamo noi, a nessun’altra città italiana, e forse aveva ragione il tenente Bucker, un giovane professore americano, a trovarvi aria di casa (…) a paragonarla a Kansas City

E più avanti, sviluppando ulteriormente il concetto, ecco l’esaltazione della provincia; un ritratto di una sconcertante attualità:

Uno scrittore dovrebbe vivere in provincia, dicevamo: e non solo perché qui è più facile lavorare perché c’è più calma e più tempo, ma anche perché la provincia è un campo di osservazione di prim’ordine. I fenomeni sociali, umani e di costume, che altrove sono dispersi, lontani, spesso alterati, indecifrabili, qui li hai sottomano, compatti, vicini, esatti, reali.

Nel secondo capitolo illustra le posizioni politiche più diffuse, quella predominante è la repubblicana e lo fa con con quell’impasto semiserio che, anche quando parla di drammi, si capisce che intende colpire soprattutto il conformismo, di ogni tipo.

(…) A parte questo nella nostra città non succedevano grandi cose: i preti continuavano a starsene in chiesa, i protestanti giravano per le campagne, i repubblicani, asera, discutevano dei doveri dell’uomo e citavano Mazzini. I fascisti, pochi, se ne stavano quasi sempre zitti (…) noi, voglio dire noialtri giovani di Kansas City eravamo politicamente senza partito, da quando si era disciolto il partito d’azione al quale, naturalmente, tutti eravamo stati iscritti. (…) Infine c’erano i comunisti, ed erano molti.

Nel terzo capitolo il narratore introduce il personaggio di Marcello, sostanzialmente un alter ego: Marcello è il prototipo dell’intellettuale impegnato anni Cinquanta. Arruolato ufficiale durante la Seconda Guerra, obbligato a condurre in battaglia gruppi di contadini analfabeti, suoi coetanei, torna a casa con la consapevolezza che la cultura, quella posseduta da lui per privilegio di classe, «non ha senso se non ci aiuta a capire gli altri, a soccorrere gli altri, ad evitare il male». Lo ritroviamo, così, continuamente occupato a mettere in piedi rassegne cinematografiche, a riorganizzare la piccola biblioteca cittadina fino a farla diventare una sorta di Casa della cultura in miniatura, oppure a istituire seminari, dibattiti e incontri sui più disparati argomenti. Questo modo di essere intellettuale istruisce anche la sua condotta privata, concretizzandosi nella decisione di sposare la «brava e bella» Michelina, una semplice ragazza di provincia senza istruzione né posizione sociale, perché tanto «l’avrebbe formata lui giorno per giorno»

Scrive a questo proposito Marco Ferri (Il Cappuccino delle cinque, 13 settembre 2023):

Ma il punto decisamente più esilarante del libro è senza dubbio la fondazione del cineclub che segna il passaggio dai vecchi riti culturali ai nuovi, più popolari e moderni. Poi, però, bisogna darsi un’organizzazione, occorre un presidente e allora si chiama il noto critico venuto da Roma che critica “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica, con un intervento ideologicamente settario che sconfina nel grottesco, dice infatti:

“L’operaio Ricci attacca i manifesti, no? Quanti sono, in Italia, gli attacchini? E quanti i braccianti? Quanti i siderurgici? Non ho con me i dati esatti, ma la non tipicità dell’uomo di De Sica mi pare di per sé evidente, no? E guardava in viso Marcello, duramente, come se la colpa fosse sua e non di De Sica”.

Il noto critico non apprezza che l’operaio Ricci non sia inserito nelle lotte del lavoro e che sia un uomo solo. C’è una sfumatura borghese in quella solitudine, secondo gli stilemi ortodossi del Partito Comunista, qui parodiati .

Bianciardi descrive questo mondo provinciale come se si trattasse di un reportage storico – antropologico, ma non bisogna dimenticare che si tratta di un racconto e che le figure descritte tendono alla caricatura, anche se si avvicinano molto alla realtà

Un tono quasi profetico, assumono poi le riflessioni sulla diffusione dei libri; ecco cosa scrive a questo proposito:

Nell’antichità era il lettore che cercava il libro, mentre oggi il rapporto si è invertito: il libro cerca il lettore. In Italia la crisi è complicata dal fatto che moltissimi scrivono e pochissimi leggono. (…) forse il numero degli scrittori è pari a quello degli analfabeti, e fors’ anche il problema dell’analfabetismo si potrebbe risolvere imponendo a ciascun autore di insegnare a leggere a un analfabeta, servendosi del suo libro inedito come di un sillabario.

Se si pensa che Bianciardi scriveva queste cose nel 1957 e si dà un’occhiata al presente non si potrà che constatare che nulla è cambiato, anzi …

Insieme alla questione dei libri, sorge poi quello della biblioteca e del suo rilancio e anche in questo caso viene chiamato un intellettuale da Roma e, dopo la sua relazione, si apre un dibattito che tocca i massimi vertici della comicità, come nel caso dell’intervento del prof. Benedetti:

Creda a me – diceva il professor Benedetti – oggi c’è troppa gente che va a scuola. Il guaio è tutto lì”.

Si presenta anche un problema proto-femminista. Un insegnate protesta perché bisognava lasciare il cinquanta per cento dei posti ai maschi…

“Saltò su l’Ulivieri, uno piccolo, nero, magro e rabbioso. Berciava: ‘E allora? E allora perché voi non ve ne state a casa? A casa, a badare ai figlioli e al marito. Quello è il posto vostro. A lavare i piatti, invece che venire a scuola a levarci il pane”.

La professoressa ribatte stizzita

E un altro capitolo decisamente caustico è quello relativo all’uso del linguaggio:

“Cominciamo subito con il nocciolo della questione, con il termine problema. Nonostante la differenza spaziale (alto-basso) dei due verbi, il problema si pone o si solleva, indifferentemente… Quasi sempre il problema, posto o sollevato che sia, è nuovo; e si dà gran merito a chi, accanto agli antichi e non risolti, solleva problemi nuovi e interessanti o meglio ancora di estremo interesse; purché siano,ovviamente, concreti”.

Nota a questo proposito il già citato Marco Ferri:

Il capitolo sul linguaggio usato nelle discussioni culturali dell’epoca è spassoso, nonostante i tanti anni trascorsi. Leggendo queste pagine viene da pensare ai discorsi della politica attuale, di qualsiasi parte e angolazione, e si avverte l’esigenza di poter leggere qualcosa di analogo, oggi, un aggiornamento dell’ironia. Ma dirlo allora, mentre questi vezzi culturali erano un rituale granitico, deve essere stato fortemente derisorio. In ogni caso senza speranza.

Concludo con questa riflessione di Alessandro Reccia (Il Ponte, luglio – agosto 2010)

Scritto tra le asfissianti mura di una squallida pensione milanese, Il lavoro culturale traccia senza dubbio il limite di un’esperienza individuale, ma anche quello di un’intera generazione di intellettuali, quella antifascista e di sinistra che voleva indirizzare culturalmente e politicamente la ricostruzione nel dopoguerra. Quando Il lavoro culturale arriva alle stampe, in Italia si è appena concluso l’ultimo grande dibattito pubblico sul ruolo e la funzione sociale della cultura, sui rapporti tra cultura e politica e tra intellettuali e partito. Proprio «Il Contemporaneo» [4] aveva messo a confronto i risultati di una discussione nata nella sinistra italiana immediatamente dopo la morte di Stalin e acuitasi inevitabilmente dopo i fatti del 1956. Nel suo libro Bianciardi non richiama mai direttamente quel dibattito ma vi apporta un contributo decisivo. Non solo perché con la caricatura dei gesti e dei linguaggi riesce a mettere in evidenza gli aspetti vuoti e strumentali della burocratizzazione culturale operata dal partito, ma anche perché di fatto si accorge, primo in Italia, che quel sistema di organizzazione e produzione culturale non può reggere di fronte al nuovo contesto industriale.

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi