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sabato 07 dicembre 2024

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Storie private, ma non solo …

di Pierantonio Pardi - martedì 06 febbraio 2024 ore 08:00

Questa è una storia e la storia è per tutti. Ognuno prenderà, ruberà, ricorderà e sarà trascinato dentro o espulso fuori, si sentirà parte oppure escluso, non in ragione dell’età anagrafica, ma dell’empatia, dei sorrisi e delle tristezze che si genereranno per ciò che andrà a leggere. Così scrive Sergio Costanzo nella premessa al suo libro I racconti della mano destra ed è una riflessione di cui volentieri mi approprio nel presentare il suo libro e l’altro Storia della mia gente (premio strega 2011) di Edoardo Nesi. Due vicende autobiografiche, diverse, intimiste, che raccontano una storia privata senza perdere di vista mai l’altra storia, quella che, solitamente, si scrive con la ( S ) maiuscola.

Andiamo quindi a presentare il libro di Sergio Costanzo.

Sergio Costanzo

I racconti della mano destra

Inizierò dalla quarta di copertina, con varie incursioni e divagazioni.

Passi, quartiere periferico a nord di Pisa. Confinato, emarginato forse. Un pugno di case ordinate come le celle di un alveare, un coacervo di persone portate a vivere lì dal fato agli inizi degli anni '60. Poco dopo, il "boom economico" e i figli di quell'attimo di esaltazione collettiva. Torme di ragazzini e ragazzine a giocare per strada, sogni, ideali, ribellioni e destabilizzazioni e la voglia di emergere e impossessarsi del mondo.

I Passi, un quartiere, un Villaggio, confini stretti dai quali evadere in mille modi, anche quelli sbagliati. Ed ecco come l’autore ce ne parla nell’incipit:

A nord di Pisa, c’è un quartiere chiamato I Passi. Ci tengo: non si dice “Viene dai Passi” o “E’ uno de I Passi”. Il nome del quartiere, pardon, Villaggio, è I Passi. Per cui si dice, si scrive e ci si riferisce in altro modo: “Viene da I Passi” o “E’ uno de I Passi”. Ma, dato che Pisa è la vera culla dell’italico idioma, può anche passare la forma “Io sono de’ Passi.” E in questo motto, in questo cartello appeso al collo, in questo segno distintivo che come cicatrice resta indelebile, io mi identifico orgoglioso e come bimbo de’ Passi a voi mi rivolgerò.

Con pochi e mirati tratti di penna, Costanzo, grande esperto e conoscitore della storia pisana su cui ha scritto numerosi saggi, ci rivela subito con divertita ironia quale sarà la sua storia di ex bimbo de’ Passi, anticipandoci i sentieri sui quali ci porterà, intrecciati con la inevitabile e soggettiva nostalgia e le riflessioni sulla storia e sui contesti politici e sociali degli anni ’70.

Per quanto l'essere umano ne abbia sempre sofferto, "nostalgia" è un termine moderno, un neologismo creato nel 1688 unendo due parole tratte dal greco antico: "ritorno" e "dolore". Il dolore del ritorno, il malessere generato dal ricordo, il desiderio di tornare a rivivere situazioni passate. Nostalgia del singolo e nostalgia dei gruppi che si identificano in un pensiero comune.

Ricordare il recente passato non è soltanto nostalgia, è un dovere, per evitare che quella memoria collettiva, quei modi e quei ritmi vadano persi per sempre.

In queste pagine, gli adulti potranno rivedersi e ricordarsi, e i giovani potranno confrontarsi, per capire quanto abisso li separi dal mondo che fu dei loro genitori, dei loro nonni. Pure, potranno rispecchiarsi nei turbamenti di un giovane innamorato della vita e dei sorrisi, animato da ideali, agitato come ogni adolescente fin dalle origini del mondo.

Io, per esempio, ex bimbo cresciuto nel quartiere di Sant’Antonio, in via Mazzini, nonostante sia un po’ più anziano di Sergio, mi sono subito gettato a capofitto su queste pagine che mi hanno risvegliato ricordi e riflessioni. Per esempio, un ricordo legato al quartiere del CEP, altro grande villaggio periferico, un tempo roccaforte rossa del Partito Comunista e ora in mano alla Lega. Segnale questo non solo di mutamenti politici, ma anche antropologici. In questi quartieri, come in quello di Sant’Ermete, si respirava un’aria popolare, un’atmosfera quasi magica, un idem sentire che si concretizzava nelle feste dell’Unità, nelle sagre, nei comizi politici… Ora queste atmosfere e questi contesti non ci sono più da tempo, ora domina l’individualismo ebefrenico dei social dove la gente si incontra solo in modo virtuale.

Quello che ci offre l’autore è un piccolo affresco di un tempo, gli anni Settanta del secolo scorso visti dagli occhi di un preadolescente.

Tanti capitoli che percorrono 5 anni, dal 1974 al 1978. La scoperta dell’eros, lo sbarco sulla Luna, il passaggio dalla tv in bianco e nero a quella a colori.

La televisione entrò in casa mia nel 1968 e arrivò con il corredo. Mobilino con le ruotine giroscopiche per spostare il tutto anche in altre stanze, di legno indefinito, ma “rifinito palissandro” (come diceva la mia mamma per impreziosirlo), strutturato in modo da avere due piani d’appoggio (…) c’erano soltanto il “primo” e “il secondo”. Le manopole servivano rispettivamente per modulare il volume e regolare il contrasto. (…) Rimase storica la notte del 20 luglio del 1969, quando in muta adorazione tutta la famiglia e tutto il vicinato, in una cucina zeppa, seguivano lo sbarco sulla luna.

Con la televisione arrivò il Varietà e le soubrette, le cantanti o le attrici e Sydne Rome di cui il giovane Costanzo s’innamorò perdutamente.

Ed anche sul cinema ci sono pagine divertenti:

Per il cinema c’era poco da sperare. Se andava bene mi toccava “quello del prete” a Orzignano. Benedette furono quelle pellicole, a loro devo tutta la mia cultura su Ercole, Ursus, Maciste e Sansone e pure in quei film, dov’era sempre estate giravano ballerine scollacciate.

Poi, e soprattutto, ci sono gli avvenimenti clou degli anni’70: il rapimento di Moro, la depenalizzazione dell’aborto, la legge 180

Basaglia che chiude i manicomi, la morte di Paolo VI e la durata flash del suo successore Albino Luciani, ovvero papa Giovanni Paolo I, la prima puntata di Happy Days nel 1977, Sandro Pertini che sostituisce Giovanni Leone alla presidenza della Repubblica, i Mondiali di calcio in Argentina, la contestazione e infine la scuola e le professoresse di cui una in particolare occupa per intero l’immaginario erotico del Nostro:

Portava minigonne e stivali di pelle che le coprivano il ginocchio o tailleur con eleganti tacchi alti o lupetti a collo alto aderenti e appiccicati al corpo, quasi come una seconda pelle, oppure girava per la scuola completamente nuda. Accadeva in quei giorni in cui arrivava con la sua Austin Allegro verde bottiglia, macchina bruttissima , e scendeva palesando calze a rete! Calze a rete e tacchi e gambe, sono stato chiaro? Era una magia, e in me si denudava e rimaneva solo calor di donna e capelli fulvi, lunghi e ondulati e trucco vistoso quasi sempre d’ombretto verde e labbra immense e seno immenso e fianchi ed eleganti passi e sorrisi che ostentavano il candore delle perle e occhi (…) verdi di smeraldo, luminosi e belli.

E mi vien da pensare, leggendo questa riflessione:

Che un adolescente pensi al sesso è cosa nota. Che lo faccia permanentemente è forse cosa meno nota o si fa finta che non sia così. Che continui a pensare al sesso anche quando non è più adolescente, è verità nascosta. Che perda la vista a forza di toccarsi è cosa falsa .

E su quest’ultimo postulato mi vien da ridere, perché, anche se il Nostro la vista non la perse in quegli anni, mi vien da pensare che la mano destra ebbe il suo bel daffare.

Ho scelto di raccontare questo libro per due motivi: il primo perché vi ho trovato numerose analogie e corrispondenze con il mio primo romanzo “Testimone il vino” (Felici, 1975) dove appunto racconto i miei anni ’70 in un percorso di formazione per certi versi simile a quello di Sergio, il secondo, perché mi interessava mettere a confronto due esperienze di vita autobiografiche, quella di un ragazzo calato in un contesto popolare con quella di un figlio di papà nato e cresciuto in un ambiente ricco ed elitario, come quello che descrive Edoardo Nesi nel suo romanzo “Storia della mia gente”.

L’autore

Sergio Costanzo è nato nel 1963 a Pisa. Si è diplomato in chimica industriale e si è laureato in Scienze Biologiche, iniziando a lavorare molto presto nel campo della diagnostica clinica. Dal primo agosto 1983 è dipendente dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Dal 1985 è volontario di protezione civile internazionale nel Gruppo di Chirurgia d'Urgenza dell'Aoup e ha compiuto varie missioni in Italia e all'estero nell'ambito dell'emergenza sanitaria e della cooperazione internazionale. Nel 2002 ha ricevuto la Benemerenza di Stato della Repubblica Italiana per l'attività di protezione civile internazionale. Affascinato dalla storia e dall'architettura medievale, segnatamente quella della sua città natale, coniuga nelle sue ricerche passione e metodo scientifico, pubblicando a partire dal 2004 alcuni saggi sull'architettura del medioevo. Ha scritto anche racconti, reportage e romanzi storici.

Tra i suoi libri: Io Busketo, da Zero a Mille, Tutti i perché della torre, Ritmo cabrio, Ibelin, Il sarto di Palermo.

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Edoardo Nesi

Storia della mia gente

Di ben altro tenore, rispetto a quella di Sergio Costanzo, la jeunesse dorée di Edoardo Nesi, rampollo di una ricca famiglia di imprenditori tessili di Prato che nell’incipit del libro, prendendo spunto da una fotografia, datata 1926, così descrive l’autore:

Tre telai giganteschi sono circondati da uomini, donne e bambini che fissano attenti l’obiettivo della macchina fotografica. Da una parte, con l’occhio fosco e il cappello sulle ventitré, c’è mio nonno, Temistocle Nesi. All’estrema sinistra della foto, con una camicia bianca, un corpetto e dei gran pantaloni larghi, più vecchio almeno di una quindicina d’anni, c’è Omero Nesi, fratello maggiore di Temistocle. Sono loro i soci fondatori – loro la ragione per cui la ditta si chiama T:O: Nesi & Figli. Temistocle Omero Nesi & Figli

Nell’idea dei soci fondatori la ditta sarebbe poi passata ad Alfiero, figlio di Omero che, all’epoca aveva dieci anni e anche Alvarado, figlio di Temistocle e padre dell’autore aveva la ditta nel suo futuro.

Ma ecco cosa scrive di sé il Nesi:

Io sono nato nel 1964, e se il mio primo nome è molto più usuale di quelli della mia famiglia, di secondo nome porto quello del nonno. Insieme ai miei fratelli Federico e Lorenzo, faccio parte di quella che avrebbe dovuto essere la terza generazione tessile della famiglia Nesi – e mi era stato promesso il mondo.

Inizia così, con questa divertente digressione sui nomi epici e mitologici degli antenati il libro di Nesi “Storia della mia gente” che vinse il premio Strega nel 2011. Un libro a metà tra il romanzo e il saggio, l’autobiografia e il trattato economico.

Lorenza Inquisitio scrive, a proposito di questo libro, una recensione che condivido:

Storia della mia gente è narrato in prima persona dall’autore, ultimo figlio di papà dell’azienda tessile di famiglia, un’impresa fondata dal nonno che ai tempi d’oro del dopoguerra rappresentò una delle più importanti fabbriche di tessitura della città di Prato. Questo poteva essere il preludio a una storia sociale ed economica molto più corale e approfondita; in realtà l’autore affronta il disastro italiano ed europeo legato alla liberalizzazione dei mercati prima e alla conseguente globalizzazione poi come due ingiuste mazzate che sostanzialmente gli hanno tolto il mondo dorato in cui ha sguazzato per tutta la sua giovinezza e parte dell’età adulta.

Nesi non racconta la storia della sua famiglia, ma la sua gioventù, le estati nei campus estivi americani a non fare sostanzialmente nulla se non frequentare corsi di letteratura (la cultura non è mai uno spreco, ok), l’iscrizione in Università in Italia a una facoltà che non gli interessa davvero e la prevedibile conseguente rinuncia agli studi, per entrare quindi in azienda, come era predestinato che fosse da che è nato, raggiunta quell’età per cui in famiglia consentirgli di bambocciare non era più tollerabile. E dopo pochi anni di lavoro a fianco del padre, nel momento in cui era pronto almeno nominalmente a subentrare alla direzione, arriva la crisi finanziaria e in un sommo slancio di intuizione tutta la famiglia decide di vendere la fabbrica prima di perdere irreversibilmente tutto.

C’è in questo stralcio di recensione il riferimento a quella jeunesse dorée cui accennavo all’inizio.

Ma, accanto a questo giudizio decisamente tranchant c’è anche chi , come Antonio Pennacchi, scrive:

Storia della mia gente si fa sublime canto, sia epico che lirico, dell’industria e del lavoro umano. Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica.

Pennacchi sostiene che questo libro racconta la crisi del sogno di un benessere economico a portata di tutti e narra di come nel giro di qualche decennio lo scenario della piccola e media industria italiana sia mutato e di come i suoi successi inseguiti e raggiunti da personaggi incolti e ruspanti spesso sbeffeggiati dal cinema e dalla letteratura appaiano oggi poco più di un lontano ricordo e ci racconta, dal centro dell’uragano globale, la sua Prato invasa dai cinesi, e che cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che si ritroveranno più poveri dei propri genitori.

Non condivido queste osservazioni di Pennacchi perché alla gente di Nesi non appartengono i lavoratori e le lavoratrici dipendenti. Non quelli cinesi di oggi che Nesi racconta come figli di quella dittatura comunista che ha fatto bastonare la migliore gioventù da soldati analfabeti e questo li ha condizionati a tal punto da essere disponibili a qualsiasi sfruttamento pur di non tornare nelle condizioni di terrore.

Ma la Cina di oggi, quella da cui vengono questi lavoratori cinesi clandestini, è quella del terrore? è quella delle campagne? chi sono quei cinesi? Nesi non ce lo dice, anche se un altro tipo di cinese è pure presente nel suo racconto: è l’altro protagonista dell’incubo di un lavoratore dipendente di ieri, oggi senza lavoro. E il disagio sociale entra nel romanzo e si manifesta col menar cazzotti e con l’escalation di razzismo che sono i tratti più cupi dell’incubo che Nesi usa come espediente narrativo.

Ma, tornando al titolo, In realtà la "gente” di Nesi sono gli industriali di provincia e nel romanzo lui dà voce all'imprenditoria pratese in una delle fasi più critiche della sua storia. Ed ecco come li descrive:

Che si facevano chiamare industriali, ma industriali non erano e non erano mai stati. Erano artigiani, straordinari e fragilissimi artigiani, lontani pronipoti dei maestri di botteghe medievali, e ciononostante rappresentavano l’ossatura di un sistema economico che incredibilmente si reggeva su di loro (…) e si basava su quelle che all’epoca erano le regole del libero mercato. Un sistema che aveva consentito all’Italia di risorgere dalle macerie della guerra, garantito diritti e stabilito doveri, sparso benessere e dato lavoro a milioni di persone

A proposito della crisi irreversibile di Prato, Gabi Dei Ottati aveva segnalato che fra le ragioni essenziali della crisi c’è la disgregazione del consenso istituzionale locale, che ha cominciato a manifestarsi negli anni Novanta, per aggravarsi nel decennio successivo. Nesi non ci dice che cosa abbia spezzato la trama delle relazioni sociali e istituzionali che sostenevano il sistema locale. C'è un accenno di Nesi a imprenditori che si sono fatti schiacciare dai clienti che imponevano una contrattazione sui prezzi, che venivano accettati scaricando la pressione sui fornitori. Non c'è una analisi di chi siano gli attori di questa catena di relazioni. Si capisce che a farne le spese siano non solo i più deboli attori della catena del valore, ma anche la qualità dei prodotti, e che questo finisce per colpire tutti gli attori, anche quelli che inizialmente giocano a schiacciare i più deboli sul piano contrattuale. Finiscono per indebolirsi e venire schiacciati da prodotti di qualità bassa che trovano concorrenti potentissimi nei paesi a basso costo del lavoro. O dentro le fabbriche di Prato che loro stessi hanno via via iniziato a vendere ai cinesi. Schiacciati da produzioni come quelle descritte nello scorcio che Nesi tratteggia del laboratorio cinese, un tempo di qualche imprenditore che come lui ha ceduto l’impresa di famiglia, in cui non si capisce neanche che prodotto stiano cucendo: improbabili "grembiuli per neonato", camicette, gonne, pigiami o vestitini per bambole.

Questo libro di Nesi lascia il vuoto di un passato che è finito. E di un presente che si snoda attorno ad uno striscione da guinness dei primati, che appare nell’ultimo capitolo, dove c’è il racconto della manifestazione di piazza a cui tutta la città-non cinese aderisce. Non ha la forza corale dell’affresco, ma magari potrebbe dare più forza alla voglia di cambiare, e all’avvio di una ricerca etnografica, di cui si sente un gran bisogno, per conoscere che cosa sta cambiando nella società e nel lavoro a Prato.

Questo libro, è bene ricordarlo, raccontava la Prato degli anni 2011 e anche le mie riflessioni sono contestualizzate a quel periodo. Da allora molte cose sono cambiate, ma Prato è tuttora la piccola Chinatown della Toscana. E Nesi? Beh, Nesi fa quello che gli è sempre riuscito meglio: scrivere.

L’autore

Sceneggiatore, regista, romanziere e traduttore, ha iniziato la sua attività traducendo racconti, saggi e romanzi di autori come Bruce Chatwin, Malcom Lowry, Stephen King e Quentin Tarantino. Ha pubblicato i romanzi: Fughe da fermo, Ride con gli angeli, Rebecca e i figi delle stelle, tutti per Bompiani. Inoltre: Le nostre vite senza ieri e L’estate infinita. Del 2019 La mia ombra è tua e del 2013 I lupi dentro (La nave di Teseo)

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi