Attualità giovedì 10 febbraio 2022 ore 15:43
Giorno del Ricordo, Pegaso alato a Giacometti
Seduta solenne del Consiglio regionale per celebrare le vittime delle foibe e dell'esodo giuliano dalmata. Mazzeo: "Impegno per ricordare"
FIRENZE — E' stato Guido Giacometti, referente per la Toscana dell'Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, ad aprire la seduta solenne del Consiglio regionale toscano dedicata al Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano dalmata.
Nato a Trieste il 19 Marzo 1948, Giacometti viveva a Dignano d'Istria e fu costretto a lasciarla in veste di profugo. Ingegnere, ora risiede a Pisa e oggi ha ricevuto dal Consiglio regionale il Pegaso alato. Nel suo intervento Giacometti ha ricostruito i giorni dell'esodo.
“I guai sono cominciati quando si è diffuso il virus del nazionalismo, che non era solo italiano, ma di tutte le etnie e inizia già con le idee che si diffondono nell’Ottocento - ha detto Giacometti - Anche con le idee di Alessandro Manzoni, che nell’ode Marzo 1821 parla di gente ‘una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor’, senza pensare che così si creano le minoranze, e di Giuseppe Mazzini”. Giacometti cita un figlio illustre di quella terra, l’architetto Massimiliano Fabiani, progettista del Narodni Dom, “perfettamente trilingue” e rievoca i tratti fondativi dei nazionalismi che porteranno a “tensioni violente. I violenti erano da tutte le parti. In Italia non c’è paese, città che non abbia una piazza o una scuola dedicate a Oberdan e mi chiedo come si può pensare che mentre noi onoriamo i nostri terroristi, non debbano farlo anche gli sloveni o i croati con i loro? Spero che prima o poi si faccia pace con questo aspetto e non si propongano ai giovani come modelli quelli che erano pronti a uccidere per le proprie idee”. Non solo nazionalismo, “il razzismo c’era già allora” in quelle terre.
“Devo dire che oggi le cose sono molto cambiate - prosegue Giacometti - Poco prima del Covid, nel mio paese, Dignano d’Istria, si è celebrata la Giornata del Ricordo”. Di esodi “ce ne sono stati più di uno: il primo di coloro che sono sfollati da Zara durante la guerra, poi da Pola, da dove la mia famiglia è venuta via con l’ultimo vapore, il Toscana. Poi il resto, dopo che sull’Europa era calata una cortina di ferro, come diceva Winston Churchill, con lo scatenarsi delle dinamiche tipiche dei Paesi comunisti, dove la pressione sulla gente era notevole e si cercava di impedire che la popolazione andasse via. Chi partiva, partiva verso l’ignoto. L’Italia ha accolto queste persone, facendo quello che poteva”. Oggi, ripete, Giacometti, “le cose sono cambiate, si collabora molto tra le due sponde. Una statistica di recente ha dimostrato che il giorno del Ricordo ha dato dei frutti. La popolazione italiana che conosce la nostra storia ha raggiunto la soglia del 50 per cento. Si tratta di un ottimo risultato”.
“Il Novecento è stato, purtroppo, il secolo delle atrocità, delle guerre, dell’odio razziale, degli stermini di massa - ha detto invece il presidente del Consiglio regionale Antonio Mazzeo - Qualche settimana fa abbiamo celebrato la Giornata della Memoria, lo scorso 27 gennaio. Nello scorso secolo gli uomini si sono macchiati di violenze che mai avrebbero potuto essere immaginate, accecati dalle diversità, dalle ideologie, dalle differenti appartenenze etniche, sociali, culturali o nazionali. In questo scenario, il dramma delle foibe assume i contorni di un genocidio di ferocia inaudita, inaccettabile, ingiustificabile”.
Al presidente della Toscana, Eugenio Giani, è toccato l’intervento conclusivo. “La conoscenza, la memoria, la percezione di cosa è stato questo fenomeno è un fatto importante, parte d’identità del nostro popolo e del nostro Paese”, dice Giani. “Fino a qualche anno fa, c’è stata una tendenza a non andare fino in fondo, anche perché si mischiavano aspetti ideologici che portavano partiti importanti del nostro paese non tanto a ignorare, ma a evitare intrecci. La Giornata del Ricordo è stata importantissima – prosegue il presidente –, ha riportato alla luce il dramma di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la loro terra, la radice della loro identità, l’Istria, la Dalmazia, per secoli e secoli parte dell’identità italiana”. E cita Dante, come “migliore testimonianza di cosa significhi il nostro territorio: quando cita l’Italia, nel IX canto dell’Inferno, la indica dalla Sicilia a Pola. Dal XIV secolo in poi, l’Italia, intesa dal punto di vista geografico e linguistico, è quella. Pola, l’Istria, la Dalmazia sono l’Italia. Per farle diventare qualcos’altro dovettero costringere 400mila persone a venire via”.
Nel dopoguerra, “gli americani avrebbero voluto il referendum, per il Trentino e l’Alto Adige, così come per l’Istria e la Dalmazia. Se si fosse andati al referendum, sicuramente l’Istria e la Dalmazia sarebbero state italiane. Si scelse un’altra strada, attraverso i trattati e la diplomazia, e sappiamo quale fosse il rapporto di Churchill con Tito. Noi che rileggiamo questa vicenda storica non possiamo non cogliere come quei 400mila italiani costretti all’esodo abbiano vissuto quella situazione che è stata descritta. Si tratta di un episodio fondamentale che nella storia d’Italia dev’essere raccontato, espresso, vissuto con sentimento di partecipazione emotiva, solidarietà, vicinanza e consapevolezza. Nel ricordo delle foibe, dove furono gettate qualcuno dice 4-5mila, qualcuno dice 11-12mila persone, semplicemente per il fatto di essere italiani. Il 10 febbraio appartiene alla nostra coscienza collettiva e al nostro sentimento comune”.
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