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Brevemondo domenica 30 marzo 2025 ore 06:30

Russia e Ucraina, Vance in Groenlandia, Israele e Sudan

Russia e Ucraina divise dagli accordi con gli Usa, un intruso in chat, J.D. Vance in Groenlandia, Israele ancora in Libano e la guerra civile in Sudan



La trattativa scomposta tra Stati Uniti, Russia e Ucraina

In Arabia Saudita tre intense giornate di negoziato si sono concluse con un doppio accordo stipulato dagli Stati Uniti con la Russia e con l’Ucraina. Dunque, non un’intesa che ha messo insieme Mosca e Kiev, ma che ha come erno Washington. In ogni caso, i due principali punti fissati degli accordi fanno riferimento al cessate il fuoco nel Mar Nero, con il divieto di impiego di imbarcazioni militari, e alla sospensione dei bombardamenti sulle infrastrutture energetiche.

Per quanto riguarda l’intesa siglata tra Stati Uniti e Russia, il presidente Donald Trump ha accettato l’impegno di facilitare la rinuncia ad alcune sanzioni internazionali nei confronti del Cremlino, in particolare per quanto riguarda il settore agricolo e il commercio dei fertilizzanti. Si tratta di un punto particolarmente discusso, in quanto l’unico dei cinque che differisce tra i due accordi e che coinvolge anche altri Paesi che hanno applicato sanzioni contro la Russia, a cominciare da quelli dell’Unione europea.

Il segretario di Stato Marco Rubio e il principe saudita Mohammed bin Salman [Account X]

La questione è cruciale, perché da parte sua la Russia ha fatto sapere che il cessate il fuoco nel Mar Nero entrerà in vigore soltanto dopo che alcune delle sanzioni decise da Stati Uniti e altri Paesi occidentali saranno tolte. Nel far questo, Mosca si è spinta oltre quanto concordato: la richiesta sì di sollevare le sanzioni riguarda la Rosselkhozbank, l’istituto di credito agricolo russo, ma anche di garantire la possibilità per le aziende del settore di accedere al sistema di pagamento Swift, da cui la Russia è stata estromessa. Anche in questo caso, la soluzione non sarà immediata: l’eventuale riammissione di Mosca deve passare anche dagli Stati europei.

We’re cooked, chat

Alcuni esponenti di punta del governo degli Stati Uniti, tra i quali il vicepresidente J.D. Vance, il segretario di Stato Marco Rubio e il segretario della Difesa Pete Hegseth, hanno incluso per errore in una chat sull’app di messaggistica Signal il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg. Quest’ultimo è un giornalista totalmente estraneo all’amministrazione statunitense, che ha potuto così seguire in diretta gli scambi tra i partecipanti - in tutto 18 - relativamente all’attacco contro gli houthi dello scorso 15 marzo.

Si tratta di un episodio verosimilmente senza precedenti. Goldberg, che dirige una rivista non certo vicina all’amministrazione Trump, anzi piuttosto critica, ha inizialmente pensato che si trattasse di uno scherzo. Salvo poi rendersi conto che, effettivamente, i vari partecipanti stavano davvero dettando la linea di quello che sarebbe stato un attacco di larga scala contro le milizie yemenite sostenute dall’Iran. E quando l’amministrazione ha negato che su tale chat fossero circolate informazioni sensibili, The Atlantic ha pubblicato gli screenshot di diversi messaggi, smentendo la Casa bianca.

Più che il contenuto dei singoli messaggi - alcuni sono rimasti scandalizzati delle punzecchiature costanti del vicepresidente J.D. Vance sull’Europa, come se non le avesse fatte pubblicamente soltanto qualche settimana fa alla conferenza di Monaco sulla sicurezza - a destare stupore sono la facilità con cui un giornalista è entrato in possesso di informazioni così delicate e la palese falla nel sistema di sicurezza statunitense, dovuto anche all’uso di una app non autorizzata. Tanto che anche l’ex segretaria di Stato e candidata del Partito democratico, Hillary Clinton, ha commentato l’accaduto senza usare giri di parole.

J.D. Vance in Groenlandi

Non è stato impegnato soltanto nell’inviare messaggi in chat, il vicepresidente J.D. Vance. Che, in questa settimana, ha anche fatto visita alla base statunitense di Pituffik in Groenlandia, rimarcando quanto l’isola sottoposta al governo della Danimarca sia al centro di una disputa di carattere globale, che contrappone Washington a Paesi come la Russia e, soprattutto, la Cina.

Il vicepresidente J.D. Vance in Groenlandia con la delegazione statunitense [Account X]

Soltanto un paio di newsletter fa, parlavamo delle elezioni in Groenlandia e di come avessero ottenuto la maggior parte dei voti due partiti: il primo, fino a quel momento di opposizione, è maggiormente cauto sulla questione dell’indipendenza; il secondo, invece, è assai più favorevole a ottenere la piena sovranità in tempi rapidi. Un’ipotesi che galvanizza Trump, che ancor prima del suo insediamento ha fatto sapere di essere intenzionato, in un modo o nell’altro, di entrare in possesso dell’isola. Scatenando un putiferio diplomatico.

Contrariamente a Trump, J.D. Vance è stato più soft nel suo approccio, escludendo qualsiasi tipo di approccio militare. Il contenuto del messaggio lanciato direttamente dalla Groenlandia, però, è il medesimo: nella contesa con la Cina, l’isola è centrale sia per la posizione strategica nelle vicinanze dell’Artico, e dunque per il controllo delle rotte marittime, sia per la massiccia presenza di risorse naturali come terre rare, uranio e ferro. E, secondo Vance, la Danimarca non farebbe abbastanza per difendere la Groenlandia dalle minacce cinesi; un compito, invece, cui gli Stati Uniti risponderebbero con maggior vigoria.

Israele ha bombardato Beirut

Dopo la fine della tregua tra Israele e Hamas, con i continui attacchi lungo la Striscia di Gaza, l’esercito israeliano è tornato anche a colpire in Libano. E, per la precisione, nella zona sud della capitale, Beirut. Proprio in quell’area si troverebbe una delle roccaforti di Hezbollah, il movimento politico e paramilitare sostenuto dall’Iran contro cui Israele, già prima della tregua, stava portando avanti operazioni militari massicce, che spesso e volentieri hanno anche colpito postazioni gestite dalla Unifil, la forza militare d’interposizione delle Nazioni Unite che si trova nell’area dal 1978. Nelle ultime ore, come riportato dall’agenzia di stampa nazionale libanese, l’ultimo episodio avrebbe riguardato un contingente francese, colpito dagli israeliani.

Di fatto, almeno per quanto riguarda Israele, il livello d’intensità del conflitto sembra essere tornato a quello immediatamente precedente alla tregua. Tanto che, nella giornata di ieri, l’esercito israeliano ha esteso le proprie operazioni via terra nella Striscia di Gaza, cominciando da al-Jnaina, un’area che si trova a sud di Rafah. Allo stesso tempo, gli stessi militari dello Stato d’Israele hanno anche ammesso di aver colpito per errore delle ambulanze.

Per riportare Hamas e Israele al confronto diplomatico, l’Egitto avrebbe formulato una nuova proposta, accettata dal movimento palestinese: a fronte del rilascio di cinque nuovi ostaggi, tra i quali l’israelo-americano Edan Alexander, il governo di Benjamin Netanyahu avrebbe dovuto accettare un nuovo cessate il fuoco. Da parte sua, però, il primo ministro ha fatto sapere attraverso il suo entourage che Israele, “in pieno coordinamento con gli Stati Uniti”, ha inviato al Cairo la propria controproposta. Per il momento, dunque, il conflitto continua.

Una svolta nella guerra civile in Sudan

Dall’aprile 2023 si combatte una sanguinosa guerra civile in Sudan. Grossomodo, da due anni ci sono due gruppi che si stanno affrontando per il controllo del Paese, ossia l’esercito sudanese, con a capo il generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, e le cosiddette Rapid Support Forces, un’organzzazione paramilitare guidata da Mohamed Hamdan Dagalo che, fino allo scoppio del conflitto, erano sottoposte al controllo del governo.

I militari dell’esercito del Sudan entrano a Karthum [Account X]

Nei giorni scorsi, l’esercito di Abdel Fattah Abdelrahman Burhan ha annunciato di essere tornato in possesso della capitale, Khartum. Se, da un lato, il ritorno al potere del generale, già proclamatosi capo di Stato nel 2021 dopo un golpe, segna una svolta nel conflitto, dall’altro sembra complicato che essa possa essere quella decisiva per la pace.

Le Rapid Support Forces, infatti, sembrano intenzionate a dar vita a un governo parallelo, che in qualche modo istituzionalizzerebbe il controllo militare che questo movimento ha nella parte occidentale del Sudan, in particolare nel Darfur. A dar manforte a questo esecutivo ci sarebbe il Kenya, che nei mesi scorsi ha ospitato le riunioni e gli incontri delle delegazioni delle Rapid Support Forces e di tutte le altre forze paramilitari che combattono contro l’esercito regolare.

Il pezzo della settimana

Che la guerra - o, comunque, la sua prosecuzione - sia indispensabile per Netanyahu lo si è capito ormai da tempo. Il primo ministro israeliano, senza il conflitto con Hamas, dovrebbe verosimilmente abbandonare il suo incarico. La ripresa della guerra dopo la prima fase della guerra e gli attacchi in Libano sembrerebbero seguire, ancora, questa logica. Qui un articolo di The Atlantic sul tema.

La canzone della settimana

Un giornalista in una chat governativa dove si parla di un attacco militare di larga scala non sembra altro che un sabotaggio. Se non fosse, come sembra, soltanto un errore da principianti.


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