Brevemondo domenica 09 febbraio 2025 ore 08:15
Trump e Gaza, Taiwan, Ucraina, Congo e Germania

Benvenuti al primo appuntamento settimanale con Brevemondo, il focus sull'attualità internazionale. Dal progetto Trump per Gaza all'ascesa di AfD
. — Trump e la riviera del Mediterraneo
Sicuramente la notizia della settimana è la proposta di Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, di reinsediare la popolazione palestinese della Striscia di Gaza in altri Paesi - Arabia Saudita? Egitto? Giordania? Hanno già detto tutti di no - e, di conseguenza, fare di quest’ultima la Middle East Riviera. Ovvero: una sorta di progetto a metà strada tra l’investimento immobiliare e la trasmutazione geografica della Striscia di Gaza stessa.
La proposta è interessante per due motivi. Il primo: la Striscia diverrebbe proprietà degli Stati Uniti per stessa ammissione di Trump, che non ha neppure escluso l’uso delle truppe statunitensi per prenderne il controllo. Sullo stile di quanto annunciato per il Canale di Panama e la Groenlandia, diciamo. Questo implicherebbe un rinnovato coinvolgimento di Washington in Medio Oriente, a dispetto di quanto promesso da Trump in campagna elettorale da almeno dieci anni sul disimpegno militare nel resto del mondo.
Il secondo: valutare le ripercussioni di un simile coinvolgimento sul processo degli accordi di Abramo, volti a normalizzare le relazioni tra Paesi arabi e Israele, avviato da Trump durante la sua prima presidenza e bruscamente interrotto dalla ripresa del conflitto arabo-israeliano dal 7 ottobre 2023. L’intenzione resta quella di compiere il passo decisivo, ovvero mettere Israele e Arabia Saudita allo stesso tavolo. Il regno dei Saud, però, ha già criticato la ricollocazione della popolazione palestinese, specificando come non ci sarà nessuna normalizzazione se, prima, non ci sarà uno Stato di Palestina.
I dazi colpiscono anche Taiwan
Dall’isola di Taiwan il governo di Taipei ha inviato dei diplomatici per discutere insieme ai rappresentanti del governo statunitense sui possibili dazi che Washington adotterà sulle importazioni di semiconduttori. Trump, durante la campagna elettorale, aveva infatti accusato Taiwan di aver rubato posti di lavoro e fette di produzione nel settore.
I dazi, dunque, non colpirebbero soltanto la Cina, cui il presidente degli Stati Uniti ha stabilito tariffe del 10% per le importazioni. Del resto, Taipei ha nei confronti di Washington un surplus nella bilancia dei pagamenti, aumentato di oltre l’80% soltanto nel 2024. Seguendo la logica della reciprocità che lo stesso Trump ha spesso indicato come obiettivo da perseguire, l’isola potrebbe finire nel calderone dei Paesi sottoposti a dazi, che il presidente americano annuncerà domani.
Il caso di Taiwan rientra nello stravolgimento completo della diplomazia rispetto all’amministrazione di Joe Biden. L’amicizia con gli Stati Uniti, che seppur non riconoscano formalmente il governo di Taipei continuano a esserne il principale alleato e baluardo contro l’annessione da parte della Cina, non è un lasciapassare per Trump. Soprattutto se si tratta di soldi.
Ucraina: quando si parleranno Stati Uniti e Russia?
Dall’elezione di Trump a novembre scorso in molti si chiedono quando il nuovo presidente e Vladimir Putin si confronteranno sulla guerra in Ucraina. Da candidato del Partito Repubblicano, Trump ha spesso insistito sulla necessità di porre fine alla guerra per porre fine al massacro di soldati e civili dall’una e dall’altra parte.
Insediato da pochi giorni a gennaio, Trump ha minacciato nuove sanzioni e l’imposizione di tariffe piuttosto elevate sui beni russi nel caso in cui Mosca non avesse accettato di avviare un negoziato per concludere la guerra. Dal canto suo, tramite il portavoce del Cremlino, Putin ha fatto sapere che sta semplicemente aspettando di avviare un dialogo con il presidente degli Stati Uniti e che non trova niente di particolarmente innovativo nella minaccia di nuove sanzioni, visto che Washington, già da tempo, le attua.
Per il momento, la novità più rilevante l’ha offerta il presidente ucraino Volodymyr Zelenksy, dicendosi pronto a trattare con Putin per terminare il conflitto, con il coinvolgimento di Trump stesso. Probabilmente, dall’elezione di novembre, Zelensky si è rassegnato all’idea di dover accettare un dialogo con la Russia, che potrebbe penalizzare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Quel che sta cercando di fare adesso è rendersi disponibile alla trattiva, offrendo agli Stati Uniti un accordo per lo sfruttamento dei siti minerari e delle terre rare che si trovano nel proprio Paese, utili per la produzione di magneti, superconduttori e chip.
Anche in Congo contano molto le miniere e le terre rare
Il tema dello sfruttamento delle risorse minerarie e delle terre rare è di grande rilevanza anche nel conflitto che da un paio di settimane sta avvenendo nella Repubblica Democratica del Congo. Sui due fronti si trovano i guerriglieri ribelli dell’M23, sostenuti dal Ruanda, e l’esercito regolare congolese. Si tratta, in ogni caso, di un conflitto che si trascina da anni.
I ribelli, nei giorni scorsi, hanno preso possesso della città di Goma, capoluogo di una regione particolarmente ricca di risorse minerarie, il Kivu del nord. La situazione umanitaria della città e del territorio circostante è state definita “catastrofica”: dal 26 gennaio scorso, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono stati riportati oltre tremila feriti e circa 900 morti; inoltre, con l’ingresso dei ribelli dell’M23 e la conseguente liberazione di una prigione, più di 160 donne sono state stuprate e bruciate vive.
Una situazione veramente drammatica. Dietro la quale, appunto, vi è anche la possibilità di controllare e sfruttare le risorse minerarie del Kivu del nord, in particolare cobalto e litio. Nella medesima regione, tra 1996 e 2003, interessi geopolitici ed economici si sono affastellati, causando la morte di oltre sei milioni di persone per quella che è ricordata come la guerra mondiale africana. Nonostante i capi dell’M23 sostengano di lottare per il Congo e nient’altro, gli interessi di Ruanda e degli stessi guerriglieri sono evidenti. Per esempio, nel 2024 l’M23 ha preso il controllo delle miniere di Rubaya e, mensilmente, guadagna grazie al loro sfruttamento circa trecentomila dollari.
Il prossimo 23 febbraio in Germania si voterà per decidere la composizione del parlamento e, di conseguenza, per il nuovo cancelliere. Verosimilmente, non sarà più Olaf Scholz, leader dei socialdemocratici, che nei sondaggi riscuotono una percentuale piuttosto bassa, tale da non far immaginare una possibile riproposizione di un governo guidato dall’attuale cancelliere.
Chi, invece, sembra essere avviato ad assumere l’incarico è Friedrich Merz della Cdu, lo stesso partito di Angela Merkel. Anche se Merz e Merkel non vanno particolarmente d’accordo. A riaccendere l’astio politico tra i due è stata proprio la notizia degli ultimi giorni sulla disponibilità di Merz ad aprire ai voti del partito di ultradestra Alternative für Deutschland (AfD), che come nelle votazioni europee dello scorso anno potrebbe ottenere un vasto successo elettorale.
In particolare, Merz si è detto disponibile ad accettare i voti dei parlamentari di AfD per attuare una riforma più stringente in materia di immigrazione. L’esperimento, però, è fallito alla prova del Bundestag qualche giorno fa: la proposta della Cdu, appoggiata da Afd, è stata respinta anche da alcuni parlamentari cristiano-democratici. Tant’è che Alice Weidel, guida di AfD, si è sfilata e ha deriso Merz, definendolo debole e ormai esautorato.
Il pezzo della settimana
Da leggere, in riferimento ai “dazi amari” - titolo utilizzato qua e là nei giornali italiani, piuttosto carino - imposti da Trump, un gran bel pezzo di Jamie Dettmer: Trump vuole tassare il mondo. D’altronde, il presidente statunitense ha spesso detto di voler far sparire l’impero americano: probabilmente, si è accorto che non ci riuscirà mai. Allora, meglio provare a guadagnarci qualcosa. Si legge qui.
La canzone della settimana
Restando in tema guadagni, dazi, tariffe, soldi, tasse. Alla prossima settimana.
Pietro Mattonai
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