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domenica 08 dicembre 2024

PAROLE MILONGUERE — il Blog di Maria Caruso

Maria Caruso

MARIA CARUSO - “Una vita da vivere” è il primo libro che ha scritto dopo aver visto il primo cielo a San Felipe in Venezuela ed aver fatto il primo ocho atràs a Pisa. E' in Italia dal 1977 e per tre anni ha abitato in Sicilia. Le piace raccontarsi e raccontare con le parole che le passano per la testa ballando un tango in milonga. Su Facebook è Marina de Caro

I buoni maestri

di Maria Caruso - giovedì 01 marzo 2018 ore 15:06

Maria Luisa Russo - "Fiducia" - acquerello cm 25x35

I maestri di tango non sono tutti uguali. Si riconoscono appena mettono piede in milonga seppur con diversi stili. Quand’anche non li riconosci ci pensa poi qualcuno a farti sapere che lo sono. Ognuno di loro, ad ogni modo, porta la propria personalità più o meno costruita nelle milongas e, tutto sommato, li possiamo annoverare e identificare metaforicamente come maestri di Karatetango, considerando quest’ultima come un’arte, nata in Argentina precisamente a Buenos Aires. Prevede l’abbraccio, la connessione, i passi, ecc. Ora tale arte è praticata in tutte le milongas. 

Nel passato si ballava prevalentemente fra uomini poiché le donne dell’alta società lo consideravano “troppo sociale” (bei tempi quelli per le ballerine… niente concorrenza!!). Con il tempo anche le donne si sono avvicinate a questa disciplina e si sono moltiplicate, centuplicate, milleplicate, creando purtroppo una discrepanza numerica esagerata e ahimè ad oggi, poco contenibile. La gerarchia dei gradi del budotango è detta kyudantango e si suddivide nel sistema degli allievi mudanshatangueri e in quello delle cinture nere o dantango. Nel budotango si considera kyutango come un grado di scuola e il dantango come un grado di auto perfezionamento. Diciamo che i maestri pertanto sono dantango. 

Parlerò quindi di quattro categorie in particolare: il Kyutango o mudanshatango, l’Yudanshatango o il guerriero, il Kodonshatango o maestro spirituale e infine l’Irokokorotango o maturo. 

Il Kyutango all’inizio della sua carriera è piuttosto timido e balla prevalentemente con la propria partner. È generalmente vestito di bianco. Man mano che passano gli anni il suo modo di vestire diventa più colorato fino a portare solo abiti scuri. Ha una tecnica discreta e si vede sempre concentrato nel tentativo di far vedere il suo lato migliore. S’impone di non ballare quanto vorrebbe, perché gli è stato detto (non si sa da chi) che tirarsela è caratteristica peculiare e distintiva dei buoni maestri. Si concede qualche volta alle allieve del suo corso ma cerca di mirare le colleghe maestre oppure tangueras non della zona che dimostrino un minimo di tecnica. In caso di eventi con esibizioni di grandi maestri azzardano comunque una mirada. Durante tutto questo periodo la voglia di apprendere e di progredire è ancora presente. Sperano di essere invitati per qualche esibizione che, considerano, l’esame per passare ai successivi colori delle cinture. 

L’Yudanshatango o Guerrieri si distinguono perché vestono sempre di nero, compresa la cintura. Il loro livello di bravura si misura in gradi. Se sono cioè in grado di superare la paura di ballare con quelle ritenute super brave che inevitabilmente lo sottoporrebbero al vaglio di un giudizio. Certamente è un maestro che ha esperienza, sa insegnare abbastanza bene, organizza milongas o eventi e in pratica per vivere, fa solo questo di mestiere. Lo vedete muoversi liberamente e ha uno stile tutto suo. Diciamo che se la cava anche se non esalta più di tanto. 

Abbiamo inoltre il Kodanshatango o il Maestro Spirituale, maestri in grado di capire e di trasmettere agli allievi che oltre alla pura tecnica, c’è uno stato mentale che appaga quando si balla il tango e insegna ai suoi allievi soprattutto, il cambio di atteggiamento e non solo l’efficacia della sequenzialità dei passi. E’ il maestro che nel tango ci vede una certa spiritualità applicandola nelle milongas creando pertanto un sottile legame tra la filosofia di vita tanguera di tutto il suo comportamento e il modo di ballare. Controlla lo spirito, il respiro, l’energia attraverso le note del tango, legandoli a una tecnica elegante e quasi perfetta. Ricerca la perfezione più interiore che esteriore con maturità e serietà. Egli raggiunge pienamente grande autonomia incondizionata. Vive in armonia con se stesso e con gli altri sia in milonga sia a scuola, abbandonando la dipendenza dal possedere la migliore scuola, quella più frequentata, quella più prestigiosa e generalmente cerca qualcuno degno che possa portare avanti i suoi insegnamenti. 

L’Irokokorotango o Maturo invece, rappresenta la cima della piramide tanguera e fa di questo un’arte, insegnando a tutti i livelli, ma soprattutto indirizzando quelli avanzati, verso l’ultimo gradino, aprendo cioè la porta segreta, a quanti, sono cresciuti imparando la sola tecnica. Sono maestri che in milonga ballano con tutte le donne che suscitano la loro curiosità, indipendentemente dal livello di ballo posseduto, sempre sorridenti e di buon umore. Non è il maestro di fama internazionale ma è quello sotto casa nostra, che nel ballare ci mette la vera passione, senza interessi di alcun tipo e genere. 

Il comportamento e l’atteggiamento dei nostri maestri sono sempre sotto i riflettori di tutti i tangueri sia nelle milongas sia a scuola e un attento osservatore potrà capire e costatare con quanto ho scritto, a quale categoria appartiene il proprio maestro. Per buon maestro non intendo il comportamento di chi, specialmente in milonga, si dimostra tollerante nei confronti di tutti, ma è colui che con il suo fare riesce a trasmettere quel che sente dentro, poiché egli in prima persona sta provando le emozioni procurate dall’andar a passo di tango, abbracciati a una donna. E’ colui che sa di non possedere l’assoluta conoscenza e di avere ancora qualcosa da imparare, finché continuerà a ballare il tango. 

La frase più bella detta da Daniele Donofrio, un buon Maestro: “Se vengo in milonga mi voglio divertire”. In realtà il piacere è stato tutto nostro, poiché in verità, a vederlo in ronda, avevamo la prova, di quanto aveva asserito a voce. Le emozioni e gli stati d’animo difatti, non si possono nascondere perché basta guardare negli occhi le persone per capire, cosa in quel momento, stanno vivendo. 

Maria Caruso

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