Se vuoi la pace, investi non nelle armi, ma nella scuola
di Adolfo Santoro - sabato 08 giugno 2024 ore 08:00
Se il compito dell’Uomo è quello di proteggere il passaggio da una pace della Notte alla pace di un’Altra Notte e, se l’immaturità, propria del Giorno dell’Uomo contemporaneo, lo condanna alla guerra, a che punto è la consapevole maturità dell’Uomo contemporaneo e fin dove non si vergogna delle proprie miserie?
Certo, siamo lontani dalla maturità di Gesù, che, nel discorso della Montagna diceva “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” e che, nel Vangelo di Tommaso, diceva “Se in una casa fanno pace anche soltanto in due, essi potranno dire alla montagna: "Spostati!" E questa si sposterà.”!
E così possiamo accorgerci che l’immaturità dell’Uomo nasconde la maturità e che questa verrà “come un ladro nella Notte”. Ma dove sono i bagliori dell’Uomo nella sua storia recente?
Noam Chomski diceva a proposito di due “famosi” pacifisti:
“Tra le personalità note, provo una grande ammirazione per Bertrand Russel, sia come intellettuale che come personaggio pubblico… È interessante vedere come la percezione di Russel sia diversa da quella di Einstein. Avevano quasi le stesse idee, in fondo erano entrambi molto preoccupati per la bomba atomica ed erano entrambi socialisti. Einstein è un idolo, Russel non lo è per niente. La differenza sta nel fatto che Einstein firmava appelli e poi tornava alla scrivania ad occuparsi di fisica, mentre Russel firmava appelli e poi scendeva in strada a manifestare.”.
La consapevolezza di Albert Einstein fu, in effetti, spesso incoerente: fu un sostenitore del sionismo senza accorgersi del pericolo della commistione tra stato e religione e, senza rendersi conto che le vittime possono poi diventare carnefici, scriveva a proposito dell’Olocausto: “Pochi anni infatti ci separano dal più orribile crimine di massa che la storia moderna debba registrare: un crimine commesso non da una banda di fanatici, ma con freddo calcolo dal governo di una nazione potente. Il destino dei sopravvissuti alle persecuzioni tedesche testimonia fino a che punto sia decaduta la coscienza morale dell'umanità.”.
Prese un abbaglio anche riguardo alla fisica atomica: “Attualmente non c’è la benché minima indicazione in merito a quando l’energia nucleare sarà ottenibile o se sarà ottenibile del tutto. Essa infatti presupporrebbe una disintegrazione dell’atomo a comando – una frantumazione dell’atomo, e fino ad oggi ci sono davvero poche evidenze che questo sarà mai possibile.”. Presto dovette ricredersi: “Ho fatto un errore, nella vita, quando ho firmato quella lettera al presidente Roosevelt chiedendo che venisse costruita la bomba atomica. Ma forse mi si potrà perdonare: infatti tutti noi eravamo convinti che fosse altamente probabile che i tedeschi riuscissero a costruirla, e a usarla per diventare la razza padrona … Se ha successo il tentativo di produrre una bomba nucleare, l’avvelenamento radioattivo dell’atmosfera e quindi la distruzione di qualsiasi vita sulla terra rientrerà nell’ambito di ciò che è tecnicamente fattibile.”.
Fu faticoso per Einstein riconoscere la complicità sua e degli scienziati: “La produzione dell’energia atomica non ha creato un problema nuovo. Ha semplicemente reso più urgente la necessità di risolverne uno già esistente … Non credo che una guerra combattuta con le bombe atomiche spazzerà via la civiltà. Forse potranno rimanere uccisi due terzi della popolazione della terra. Ma resterebbe un sufficiente numero di uomini capaci di pensare e un sufficiente numero di libri per consentire di ricominciare daccapo e restaurare la civiltà ... Non mi considero il padre della liberazione dell’energia atomica. Il mio ruolo in proposito è stato del tutto indiretto. Non prevedevo, infatti, che si sarebbe arrivati a produrla nel mio tempo. Lo credevo possibile solo sul piano teorico ... Dal momento che non prevedo che l’energia atomica potrà risultare di grande vantaggio ancora per molto tempo, debbo dire che attualmente essa costituisce una minaccia. Forse è bene che sia così. Potrà agire da deterrente per la razza umana spingendola a mettere ordine nei propri affari internazionali, cosa che, senza la pressione della paura, di sicuro essa non farebbe ...”.
L’idea dell’utilità della “deterrenza” dell’atomica era, infatti, radicata in lui, come nella quasi totalità degli attuali politici: “Gli americani possono essere convinti della loro determinazione a non scatenare una guerra aggressiva o preventiva e ritenere così superfluo annunciare pubblicamente che non faranno più ricorso per primi alla bomba atomica … Non sto dicendo che gli Stati Uniti non dovrebbero preparare la bomba e farne scorta, perché credo che debbano farlo; con essa devono essere in grado di scoraggiare un altro paese dal predisporre un attacco atomico una volta che anch’esso si sia procurato la bomba …”.
Subentrava così un pacifismo pessimistico: “Finché ci saranno gli uomini, ci saranno le guerre … Dal mio punto di vista, uccidere in guerra non è affatto meglio che commettere un banale assassinio … La gente cerca di minimizzare il pericolo limitando gli armamenti e promulgando leggi restrittive per la conduzione della guerra. Ma la guerra non è un gioco di famiglia in cui i giocatori sono lealmente ligi alle regole. Dove sono in ballo la vita e la morte, obblighi e regole vengono meno … “.
Invocava così un controllo “sovranazionale”, ma la Società delle Nazioni era, come l’ONU attuale, paralizzata dalle Nazioni: “… inculcare la paura non fa che accrescere l’antagonismo e aumentare il pericolo di una guerra. Sono dell’opinione che questa politica ci abbia allontanati dalla vera soluzione moralmente accettabile, la proposta di un controllo sovrannazionale dell’energia atomica ... Difendo il governo mondiale perché sono convinto che non ci sia altra via percorribile per eliminare il più tremendo pericolo a cui l’uomo si sia mai trovato esposto. L’obiettivo di evitare la distruzione totale deve avere la priorità su qualunque altro obiettivo ... “.
Ma subentrava la delusione: “Finché il contatto fra i due campi si limiterà ai negoziati ufficiali, vedo scarse prospettive di un accordo intelligente, specialmente dal momento che considerazioni di prestigio nazionale oltre che la tendenza a parlare alle masse da una finestra tendono a rendere pressoché impossibile ogni ragionevole progresso. Ciò che una parte propone a livello ufficiale è per ciò stesso guardato con diffidenza e persino fatto apparire come inaccettabile dall'altra. Inoltre dietro tutti i negoziati ufficiali si cela – per quanto velata – la minaccia del potere nudo e crudo … ”.
Il ruolo dello scienziato si riduceva a chi promuove la raccolta di firme: “Noi scienziati crediamo che quello che noi e i nostri simili faremo o mancheremo di fare nel giro dei prossimi anni determinerà il destino della nostra civiltà. E consideriamo nostro dovere divulgare incessantemente questa verità, aiutando la gente a rendersi conto della posta in gioco e adoperandoci non per una tregua, ma per un’intesa e un definitivo accordo tra popoli e nazioni di differenti vedute ... Non vedo altra via d'uscita dalle condizioni imperanti che una politica perspicace, onesta e coraggiosa, tesa a fondare la sicurezza su basi sovrannazionali. Speriamo che si troveranno individui sufficienti per numero e per forza morale, atti a guidare la nazione su questa strada, finché le circostanze esterne le attribuiranno un ruolo di guida. Allora problemi come quelli descritti cesseranno di esistere ... “.
Cercò di coinvolgere in questo cartello di scienziati anche Sigmund Freud che scriveva dell’istinto di morte come cosa “naturale” dell’uomo. Il carteggio tra i due si intitolò “Perché la guerra?”. Così scriveva Einstein in quelle lettere: “La domanda è: c'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? È ormai sufficientemente risaputo che, col progredire della tecnica moderna, rispondere a questa domanda è diventato una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta; eppure, nonostante la massima buona volontà, tutti i tentativi di soluzione sono miseramente falliti ... la ricerca della sicurezza internazionale implica che ogni Stato rinunci, entro certi limiti, alla propria libertà d'azione, vale a dire alla propria sovranità, ed è incontestabilmente vero che non v’è altra strada per arrivare a siffatta sicurezza ... l’uomo alberga in sé il bisogno di odiare e di distruggere. In tempi normali la sua inclinazione rimane latente, solo in circostanze eccezionali essa viene alla luce: ma è abbastanza facile attizzarla e portarla alle altezze di una psicosi collettiva. ... E non penso affatto solo alle cosiddette masse incolte. La mia esperienza dimostra anzi che è proprio la cosiddetta «intellighenzia» a cedere per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l’intellettuale non ha contatto diretto con la realtà, ma la vive attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata ...”.
Si accorgeva così, lentamente, della responsabilità del potere: “E il governo è in se stesso un male finché reca in sé la tendenza a degenerare in tirannia … È per questa ragione che negli ultimi tempi abbiamo dovuto assistere ripetutamente al licenziamento di degni docenti universitari contro la volontà dei loro colleghi, azioni di cui la stampa ha informato il pubblico in modo non adeguato. È sempre alla pressione di questa minoranza economicamente dominante che dobbiamo l’infausta istituzione del giuramento del docente, ideato per limitare la libertà d’insegnamento. Non c’è bisogno che mi soffermi sul fatto che la libertà d'insegnamento e di opinione nei libri o nella stampa è il fondamento di un sano e naturale sviluppo di qualsiasi popolo ... Siamo tutti consapevoli della difficile e minacciosa situazione in cui versa oggi la società umana – ridotta a un’unica comunità con un destino comune –, ma solo alcuni si comportano di conseguenza. Gran parte delle persone continua a vivere la propria vita ordinaria; per metà spaventate, per metà indifferenti, esse contemplano la cupa tragicommedia in atto sul palcoscenico internazionale davanti agli occhi e alle orecchie del mondo. Ma su quel palcoscenico, in cui gli attori recitano sotto i riflettori le proprie ordinate parti, si decide il nostro destino di domani, la vita o la morte delle nazioni ... “.
Poteva così comprendere che il pericolo derivava dall’esistenza delle armi e degli eserciti in sé: “È tipico della mentalità militarista considerare essenziali i fattori non-umani (bombe atomiche, basi strategiche, armi di ogni sorta, il possesso di materie prime, ecc.) e ritenere invece trascurabile e secondario l’essere umano, i suoi desideri e pensieri, in breve i fattori psicologici ... L’individuo è degradato a mero strumento; egli diventa «materiale umano» … Con una concezione simile i normali fini delle aspirazioni umane svaniscono. Al loro posto, la mentalità militarista eleva il «potere nudo» a fine in sé, uno dei più sconcertanti inganni a cui gli uomini possano soccombere. Nel nostro tempo la mentalità militare si è fatta ancora più pericolosa che in passato perché le armi offensive sono diventate molto più potenti di quelle difensive. Perciò essa conduce di necessità alla guerra preventiva. L’insicurezza generale che ad essa si accompagna porta a sacrificare i diritti civili del cittadino al presunto bene dello stato ... Fintanto che esistono degli eserciti, ogni lite più seria porterà alla guerra. Un pacifismo che non prova di fatto a impedire alle nazioni di armarsi è e deve rimanere impotente …
Finiva così nel rendersi conto che era necessaria una nuova etica, che si occupasse soprattutto dell’educazione della prossima generazione: “... i capitalisti privati controllano inevitabilmente, in modo diretto o indiretto, le fonti principali d’informazione (stampa, radio, pubblica istruzione). Per cui è estremamente difficile e nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, che il singolo cittadino possa arrivare a conclusioni oggettive e avvalersi in modo intelligente dei propri diritti politici ... Considero tale storpiamento della coscienza dei singoli il peggiore dei mali del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo ne è contagiato. Si inculca un atteggiamento di esagerata competizione negli studenti, che vengono esortati all’adorazione del successo acquisitivo in preparazione della loro carriera futura ... Sono convinto che ci sia un unico modo per eliminare tali gravi malanni, vale a dire l’istituzione di una economia socialista, accompagnata da un sistema educativo orientato al perseguimento di obiettivi sociali ... Ci sta a cuore non solo il problema tecnico dell’assicurare e preservare la pace, ma anche l’importante compito dell’istruzione e dell’illuminazione delle menti ...”.
La lezione che si può trarre, tenendo presente la fallace saggezza dell’imperialismo romano “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra”), diventa: “Se vuoi la pace, non investire in armamenti, ma, in tutto il mondo, nella scuola. E tutela i bambini, che senza la coscienza della pace, potrebbero diventare i guerrafondai e i terroristi di domani! Fermiamo l’evoluzione del mondo per l’arco di una generazione. Solo così la prossima generazione sarà meno stupida di quella attuale!”.
Adolfo Santoro