Ferenczi, Anna Freud e l’identificazione con l’aggresssore
di Adolfo Santoro - sabato 15 aprile 2023 ore 09:00
Sándor Ferenczi, lo psicoanalista ungherese che fin dal 1924, cioè dall’anno in cui pubblicò “Prospettive di sviluppo della psicoanalisi” scritto con Otto Rank, entrò in dissidio con Freud. Questo dissidio culminò nel 1932, quando Freud mal sopportò la relazione di Ferenczi al XII Congresso Internazionale di Psicoanalisi tenutosi a Wiesbaden nel settembre 1932, intitolata “Confusione delle lingue tra adulti e bambini (Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione)”. In questa relazione Ferenczi mise in dubbio il modello del trauma di Freud, che prevedeva la “provocazione” del bambino verso l’adulto abusatore: secondo Freud era il bambino, che per sua natura è sessualmente pervertito, a desiderare inconsciamente di subire la violenza, presunta o reale, e a conservare traccia di questo desiderio attraverso il proprio senso di colpa. La psicoanalisi ufficiale bollò Ferenczi come eretico, per cui fu emarginato dal movimento psicoanalitico fino a morirne.
Per Ferenczi il trauma è quasi sempre la conseguenza di un modo sbagliato o addirittura crudele di trattare i bambini; ne consegue nel bambino una “scissione narcisistica del Sé”, una dissociazione per meglio dire: una parte del Sé si sviluppa come parte danneggiata e una parte si sviluppa invece come osservatore esterno che, come un angelo, veglia sul contesto. La riassociazione di questa parte dissociata dovrebbe avvenire, se l’adulto è presente, tenero e comprensivo, attraverso l’ascolto. Ma quando il trauma viene negato dagli adulti (“non è successo niente”) o quando il bambino viene percosso o rimproverato dagli adulti stessi, ne conseguono la conferma della dissociazione ed un blocco del bambino a livello ideativo, emotivo e comportamentale. Per continuare a mantenere il rapporto con gli adulti il bambino non può fare altro che introiettare il loro senso di colpa nel proprio Io! In questo modo avviene l’identificazione col persecutore: non sono loro ad essere cattivi, ma sono Io che sono cattivo ed i miei pensieri, le mie emozioni ed il mio comportamento confermano questo mio modo di essere attraverso l’imitazione del cattivo. In questo modo l’aggressore scompare come realtà esterna e rimane come residuo del passato il solo vissuto del senso di colpa nel bambino.
Ferenczi aveva già annotato, nella giornata del 10 maggio 1932 del suo “Diario Clinico”, l’idea di identificazione con l’aggressore, che appare come un costrutto complesso: al di là dell’identificazione c’è un vissuto di non tutela della propria integrità psico-fisica, che induce alla paura di essere annichiliti, per cui vengono inibiti il disgusto, l’odio e la protesta. Il bambino s’identifica empaticamente – e, da allora in poi, automaticamente - con l’aggressore; si consegna all’aggressore, anticipa ciò che l’aggressore si aspetta, sente ciò che l’aggressore sente, vuole ciò che l’aggressore vuole che il bambino senta. La mente del bambino è svuotata per far posto alle percezioni dell’aggressore ed il bambino vive in uno stato alterato e dissociato di coscienza, come in sogno. La parte dissociata, l’angelo, lo indurrà a vivere nell’attesa, come se l’evento non fosse mai avvenuto, nell’attesa del ritrovare l’innocenza perduta, che in verità può avvenire solo quando, attraverso un serio percorso psicoterapico, ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Anna Freud (imitando il padre, Sigmund, che soleva depredare le idee dei suoi collaboratori) ne “L’Io e i meccanismi di difesa” del 1936 riprese l’idea di Ferenczi, senza farvi riferimento, ma lo ridusse ad un meccanismo di difesa già presente nel bambino. Facendo riferimento piuttosto ad “Al di là del principio di piacere” (un testo di Freud del 1920, in cui era scritto: “Il bambino infligge a un compagno di giochi il disagio che lui stesso aveva subito e quindi si vendica della persona che lo sostituisce”) ella fece rientrare questa idea all’interno delle idee di Freud dichiarando che “questo meccanismo sarebbe prevalente nella costituzione della fase preliminare del Super - io": in questa fase, l'aggressione rimarrebbe "diretta verso l'esterno" , non sarebbe ancora "rivolta contro il soggetto sotto forma di autocritica ” .
Il concetto di identificazione con l’aggressore di Ferenczi è dunque fondamentalmente diverso da quello di Anna Freud: per Ferenczi il bambino elimina, per sopravvivere, la propria soggettività per diventare esattamente ciò che l’aggressore aveva bisogno che il bambino fosse. L’identificazione con l’aggressore di Ferenczi è distruttiva - il bambino si sacrifica per mantenere un rapporto d’amore con l'adulto colpevole -, mentre quella della Freud è lo schema di un’identificazione secondaria che aiuterà a stabilizzare l’Io. La Freud, insomma, banalizza e continua l’ipocrisia del padre.
La Freud, d’altra parte, avversò in modo acrimonioso anche la teoria dell’attaccamento di John Bowlby, che invece si è dimostrata più affidabile degli astrusi concetti freudiani: l’identificazione con l’aggressore è infatti meglio comprensibile all’interno del costrutto di “attaccamento disorganizzato”, analizzato, in particolare, da Mary Main. La Main ha individuato un peculiare modo di reazione del bambino sottoposto al test standardizzato della “Strange situation”. Nella “Strange Situation” la madre porta il proprio bambino nello studio dello sperimentatore, aspetta che il bambino giochi quietamente con i giochi presenti nella stanza, poi lascia la stanza mentre lo sperimentatore continua ad essere presente (per cui il bambino esprime la sua sofferenza), infine rientra nella stanza. Al rientro della madre alcuni bambini si lasciano gradualmente confortare dalla madre, altri evitano apparentemente il contatto con la madre, altri protestano vivacemente, altri, infine, hanno un “comportamento disorganizzato”: le vanno incontro, ma si bloccano, accennano a protestare, ma si inibiscono.
L’attaccamento disorganizzato del bambino tende ad essere mantenuto nell’adulto ed è riscontrabile, ad esempio, nella co-dipendenza, nella “sindrome di Stoccolma”, in tutte le forme, insomma, in cui l’abuso è tollerato.
Adolfo Santoro