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mercoledì 13 novembre 2024

SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

Beneficenza

di Nicola Belcari - lunedì 20 maggio 2024 ore 09:00

La filosofia ha cercato di comprendere in tutti i suoi aspetti la natura del regalare. Compie quest’anno cento anni lo studio fondamentale, caposaldo nel suo genere, Il saggio sul dono di Marcel Mauss, che mette in rilievo il valore e il senso del donare nelle società arcaiche, africane, americane, oceaniche. A partire dai lavori precedenti sull’argomento il saggio andò oltre divenendo una pietra miliare dell’antropologia.

L’ambiguità dell’offrire il dono s’iscrive nella dinamica a cui dà il via donare-ricevere-restituire, con le somiglianze e le differenze rispetto allo scambio e al baratto in una tensione obbligante; una condizione legante ben diversa (se non contraria) all’armonia degli stessi concetti rappresentata dalle Grazie (Botticelli). Il donare non sempre è disinteressata espressione di generosità ma esige in sé una contropartita.

In alcuni casi il dono è “avvelenato”: un caso per tutti, il cavallo di Troia (Timeo Danaos et dona ferentes) o il sacrificio di un pezzo nel gioco degli scacchi (pedone avvelenato).

Il dono si può rifiutare quando comporta l’accettazione, una forma di riconoscimento, di un donatore “cattivo” (o un’organizzazione nociva) che l’effettua. Un esempio è il prete missionario che rifiuta l’offerta di una società internazionale perché considera criminosa la sua azione economica e sociale: egli ritiene l’utilità dell’offerta un compenso inadeguato rispetto al danno procurato.

Il dono può servire per sopprimere un senso di colpa. Cosimo de’ Medici finanziò la sistemazione del Convento di San Marco dichiarando che v’impegnava del denaro di “mal acquisto” (poi le spese andarono oltre). Nello stesso ambito quasi sempre le donazioni dei potenti sono finalizzate al prestigio personale e tanto mecenatismo è assai sospetto (ed è comunque scaricato dalla dichiarazione dei redditi).

La beneficenza andrebbe fatta senza pubblicità: sbandierarla la trasforma appunto in pubblicità, senza contare che il debito di riconoscenza che determina chiede di essere ripagato.

Tante sottigliezze su aspetti del dono discutibili o non puri come si pretenderebbe poi crollano quando si scopre che la beneficenza proclamata, fatta per giunta con i soldi degli altri, non è mai avvenuta ed è rimasta nelle intenzioni. È ciò spiegabile come un equivoco? È difficile classificarlo e trovare il termine adatto per definirlo. In effetti se si prendono dei soldi dalla tasca, ma la tasca non è nostra, è uno spiacevole equivoco.

Nicola Belcari

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