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giovedì 07 novembre 2024

SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

Di paura in paura

di Nicola Belcari - domenica 27 marzo 2022 ore 07:30

Non si può in tanti casi (e con sicurezza) risalire dagli effetti alle cause, però ci sono effetti ben delineati e gravi nell’ora presente di un oggi disperato.

La nostra società è preda della paura. Dalla paura di attentati terroristici siamo passati all’epidemia e infine alla guerra. Tutto questo sullo sfondo di una crisi economica e finanziaria forse senza (facile e semplice) uscita: produzione a picco o calo diffuso e generalizzato, con importazioni di beni a livelli spropositati e abnorme indebitamento.

Oggi un attentato avrebbe effetto solo per chi ne fosse colpito (in modo diretto o indiretto) senza spargere il terrore nella popolazione già più spaventata da altro.
Tutto ciò accade in una società per sua natura competitiva e conflittuale ove si sommano disoccupazione, tensioni sociali, criminalità (piccola o grande), paura delle malattie per cui si muore (infarto e tumore) non del tutto “naturali”.

Nelle epidemie poi in particolare il contagio viene dagli altri che rappresentano un rischio ed è bene perciò sfuggire, evitare d’incontrare.

“L’inferno sono gli altri”: l’aforisma di Sartre, tra i più profondi mai pronunciati, quanto è diverso! Si potrebbe ora equivocare, con un significato opposto e contrario, considerando i rapporti e le relazioni tra le persone un pericolo (un buon fine per i regimi autoritari o le società repressive).

Un fiume di auto semina veleno, intanto. Chiusi in casa ne filtriamo solo una parte. La protezione delle mura domestiche, l’abitacolo dei veicoli, sono le condizioni dell’esistenza per chi vede negli altri un pericolo. I contatti con le persone passano dal computer e dai media che enfatizzano le tragedie per smuovere il nostro cuore duro.

Mi sento, mi sembra, come un coniglio che si stringe in un angolo del “gabbione” (con gli occhi arrossati dagli schermi) e preso per le orecchie per pulire il giaciglio; un coniglio timido, dimentico della sua anima di lepre. Si dirà: hai descritto la tua vita, poveraccio? Mah? Sì, mi riconosco nella favola…

Nicola Belcari

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