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lunedì 20 ottobre 2025

SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

​Lucrezia Borgia, una storia di potere

di Nicola Belcari - lunedì 20 ottobre 2025 ore 08:31

Lucrezia, nome della virtù romana e della pudicizia spinta a conseguenze estreme, trapassa nell’esempio opposto con Lucrezia Borgia, secondo una leggenda nera assai ridimensionata dagli studi storici, accusata di disparate nefandezze.

Lucrezia figlia “ufficiale” del Papa Alessandro VI è stata una donna vittima predestinata di uomini di potere, un potere declinato al maschile. Vittima sia pure nel lusso e nei privilegi di una vita principesca. La sua è una storia di potere. Il Potere assoluto, arbitrio, follia, delirio, violenza, pazza bestialità. Di sicuro mancanza di scrupoli.

Il padre, Rodrigo Borgia, aveva beneficiato di titoli e cariche concessi dallo zio, Papa Callisto III, e a sua volta fece largo uso di favoritismi con i parenti dopo aver ottenuto la propria elezione al pontificato (anche con la mercificazione: simonia). Il nepotismo del resto era una prassi ordinaria praticata un po’ da tutti, predecessori e successori. Né suscitavano scandalo i rapporti carnali con le donne, in un numero così alto che nessuno è in grado di contare. Erano comportamenti risaputi, diffusi e comuni a tanti altri nelle stesse condizioni. Da capire come fosse possibile predicare dall’altare senza scadere nel ridicolo.

A soli 13 anni Lucrezia va sposa a Giovanni Sforza dopo che le sono stati annullati due precoci fidanzamenti: strumento di “geopolitica” delle mire paterne. Il matrimonio è cancellato dopo 4 anni in vista di un’unione più utile. La Chiesa dichiara l’unione non consumata e come conseguenza il marito “risulta” impotente. Un’onta che provocherà non poche accuse da parte dell’uomo. Insinuazioni (incesto) e calunnie, forse, riprese da altri anche autorevoli personaggi del tempo (con Lucrezia definita “figlia, moglie, nuora” del Papa).

Il marito si è salvato fuggendo, altrimenti il matrimonio avrebbe potuto essere sciolto in maniera più semplice e sbrigativa. Lucrezia si ritira in convento visitata da un messo del papa che tiene i contatti tra lei e il “principale”. Rimane incinta del giovane, chiamato Perotto, nello stesso momento dichiara di essere vergine per annullare il legame con lo Sforza. Il bambino passerà alla storia come l’“infante romano”. Una volta libera sposa Alfonso della casa d’Aragona di cui s’innamora e col quale ha un figlio, Rodrigo.

Il fratello Cesare intanto fa uccidere il primo figlio di Alessandro VI e suo fratellastro che costituiva un ostacolo alle sue ambizioni. Il dolore del papa è straziante. Poi si placa e si accontenta di favorire Cesare. Se per questo delitto non è provato che ne sia stato l’autore, sono i suoi scagnozzi che uccidono il cognato Alfonso, già ferito in un attentato e convalescente. I sicari di Cesare per finire il lavoro allontanano, con la scusa di rivolgersi al Papa per impedire l’assassinio, Lucrezia e la sorella del marito (tutt’e due figli “rigorosamente” illegittimi del re di Napoli: rampolli extraconiugali erano numerosi in tutte le case regnanti del tempo, Este, Medici, Sforza, Gonzaga, ecc.).

Il fatto sancisce la fine di una possibile alleanza con gli Aragona di Napoli e sulla decisione pesa anche lo sgarbo di un mancato matrimonio di Cesare, che perciò rivolge altrove le proprie mire sposando una parente del re di Francia. Cesare, reduce da una malattia venerea, che gli procurava degli inconvenienti, si aiuta con un farmaco per la performance della prima notte. Si vanta in una lettera: “ho spezzato otto lance” (o sei secondo un altro racconto delle sue smargiassate). In realtà secondo una damigella della moglie i numeri si riferivano piuttosto alle volte in cui si era recato al “comodo” (il gabinetto) per un disturbo intestinale dovuto all’intruglio.

Con l’accordo del re di Francia si preparano nuove nozze per Lucrezia. Andrà in sposa ad Alfonso d’Este. Per lui sono le seconde, per lei le terze. Come “addio al nubilato” Cesare organizza quella che è passata alla storia come “il ballo delle castagne”. Cinquanta prostitute, non d’infimo rango, danzarono prima vestite poi nude. Posti i candelieri sul pavimento furono sparse le castagne che le donne carponi raccoglievano muovendosi a quattro zampe. Sotto lo sguardo divertito del papa, del duca e di Lucrezia. Furono messi in palio premi a chi meglio e più volte possedeva le prostitute. A giudizio di chi? C’è da alzare il sopracciglio ai nomi dei componenti la giuria.

Lo storico dà del puritano e ipocrita a chi si scandalizza sostenendo che tali festicciole erano prassi normale presso le varie corti, dimenticando del tutto la figura religiosa del cosiddetto Santo Padre, o considerandone l’assoluta irrilevanza. Si paragonano poi come giustificazione coeve prose osé confondendo la licenza letteraria con i fatti reali.

Il diario del cerimoniere vaticano annota un altro episodio. Lucrezia e il padre di lì a poco assistevano con risa e divertimento alla monta selvaggia di quattro stalloni su due giumente che avevano portato legname in San Pietro. Scena non priva di violenza preceduta infatti dalla zuffa tra i cavalli.

Due divulgatori di libelli oltraggiosi verso il Papa furono uccisi. Uno strangolato e gettato nel Tevere (abituale “discarica” in casi del genere), l’altro ebbe le mani tagliate e la lingua strappata affisse vicino alla testa e esposta alla gogna.

Il matrimonio per diventare duchessa d’Este richiese una dote faraonica con un conteggio materiale delle monete molto laborioso. La riuscita fu buona. Matrimoni combinati dalle famiglie potevano riuscire bene, anche rispetto a quelli voluti dagli innamorati poiché, come si sa, l’amore è cieco e dunque non di rado erra.

Ciò non impedì a Lucrezia d’imbastire un amore platonico con Pietro Bembo, letterato di punta, e un carteggio “equivoco” col cognato Francesco Gonzaga, personaggio improbabile per un amore spirituale e delicato date le sue inclinazioni: si vantava di amori violenti accusando altri di un ruolo passivo dove il suo era attivo nell’amore greco e con la fama di bestemmiatore.

Cesare intanto duca di Valentinois prosegue le sue battaglie. Fino alla morte del padre che sancisce la fine del sogno dei Borgia. La salma del pontefice è gonfia e nera: “trascinato con una corda legata a un piede al loco della sepoltura per non trovarsi alcuno che lo volesse toccare; gli fu dato tanto misero deposito che la nana moglie dello zoppo là a Mantova l’ha più onorevole” così scrive Francesco Gonzaga nel dare notizia alla moglie Isabella.

Il Valentino è imprigionato, fugge calandosi con una corda troppo corta infortunandosi a una gamba e di lì a poco cadrà in battaglia o piuttosto in un’imboscata.

Lucrezia muore, alla soglia dei 40 anni in seguito all’ennesima gravidanza, come terziaria francescana.

Il potere quando è assoluto è lusso, crimine, crudeltà. Allora e, in altre forme, anche dopo. Il potere è della ricchezza (conseguita, conservata, incrementata). Come si sia potuto confondere la gloria delle opere d’arte del Rinascimento con quella dei cosiddetti mecenati (o committenti o semplici acquirenti), spesso e volentieri individui di tal fatta e, o, col solo merito di esseri figli di qualcuno, è una mistificazione quasi sempre involontaria assai comune che dovrebbe far pensare a quante cattive consuetudini storiografiche siamo stati abituati.

C’è una morale per noi oggi in una storia così lontana nel tempo? Oltre quella espressa qui da ultimo. Sì, penso ce ne siano più d’una.

Nicola Belcari

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