DIZIONARIO MINIMO: L’italiano
di Libero Venturi - domenica 03 giugno 2018 ore 08:35
Dunque, vediamo un po’, articolo 92 della Costituzione della Repubblica Italiana: “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.
Concentriamoci sul secondo comma che è scritto proprio così, “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Non è una manovra cospiratrice dei partiti corrotti che ci hanno governato finora, né un diktat dei poteri forti. È la Costituzione, la nostra. Forse, nei principi ispiratori, la più bella del mondo. Manca solo il diritto alla felicità, come in quella Americana, ma non si può avere tutto. Del resto gli americani, si sa, sono americani e la felicità è fuggevole. Ma non divaghiamo. Dunque è il Presidente della Repubblica, ovverosia il Capo dello Stato, che nomina il Primo ministro, Capo del Governo, e, su proposta di questo, gli altri ministri.
Ora l’italiano è una lingua bella e complessa, articolata e complicata, una lingua che si presta anche a fraintendimenti, non sfugge volutamente a doppi sensi, indulge in giochi e giri di parole, si gonfia di retorica e busillis, tutto quello che volete. Però riesce anche ad essere esplicita, quando vuole. Basta conoscerla e saper leggere. E se si legge appena bene, si capisce che il secondo comma dell’articolo 92 assegna al Presidente della Repubblica il potere di nomina sia del Presidente del Consiglio che dei Ministri. Solo, questi ultimi su proposta del Primo ministro. Semplice e chiaro, incontrovertibile direi. E se c’è asimmetria di poteri, come qualche intelligentone sembra sostenere, questa semmai è a favore del Presidente della Repubblica. È lui che nomina, ne ha responsabilità finale, mette la firma. Se i padri costituenti avessero voluto diversamente, avrebbero scritto: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale nomina i ministri”. Se volevano cavarsela con una semplice frase. Altrimenti avrebbero potuto anche mettere un punto, andare a capo e proporre un terzo comma scrivendo: “Il Presidente del Consiglio dei ministri nomina i ministri”. E ci poteva stare anche un “invece”, un “a sua volta”, anche se sarebbero stati ripetitivi e ridondanti, non nello stile sobrio della Costituzione. Ma i Costituenti, gente tosta e delle più varie opinioni, oltreché eletta dal popolo in libere elezioni, le prime dopo la dittatura fascista, non hanno scritto diversamente da come hanno voluto scrivere, né hanno messo un punto e a capo. Hanno lasciato quel potere ben saldo in mano al Capo dello Stato, anche per quanto riguarda la lista dei ministri proposta dal Presidente del Consiglio. Si chiama equilibrio dei poteri. In tutti questi anni ha contribuito a garantire la democrazia e il suo regolato e corretto svolgimento.
L’obiezione è: ma i ministri proposti dal Premier incaricato non sono frutto, pur indiretto, della libera e democratica scelta degli elettori? Allora come può il Presidente della Repubblica, mettere bocca o porre addirittura un veto su un nome proposto? Non è un atto contro la democrazia, pur rappresentativa? Un abuso di potere? La risposta è no. Le elezioni politiche si fanno per rinnovare il Parlamento e decidere chi, fra le forze politiche, ottiene la maggioranza per governare il Paese. Non si fanno per cambiare la Costituzione e difatti non la cambiano. Per cambiare il dettato costituzionale occorre un altro percorso che la Costituzione stessa prevede all’articolo 138 che richiede maggioranze qualificate, nonché procedure lunghe e complesse. E meno male, se no gli Italiani ci avrebbero messo le mani ogni tre per due e quelle regole condivise, non sarebbero più tanto condivise. Così ognuno avrebbe fatto, come già cerca di fare, il cazzo che gli pare. Dico queste cose e, giuro, non sono né un euroburocrate, né un bancario tedesco, né un investitore in borsa, ma un pensionato, oltretutto di fascia bassa, se può far piacere. Quindi non costituisce abuso di potere, da parte del Presidente della Repubblica, mettere in discussione, con motivati argomenti e nell’interesse del Paese, un ministro proposto, magari suggerendo altri nomi, ovviamente sempre in linea con gli orientamenti di chi ha conseguito la maggioranza dei voti o, addirittura, tra loro, un eletto dal popolo.
Si presuppone oltretutto che il Presidente della Repubblica non sia uno qualunque a cui, dopo oltre ottanta giorni di rimpalli per formare una proposta di governo giallo-verde, anzi un “contratto”, si possa imporre un ministro pur che sia. Tantomeno un anziano e pur competente economista di 82 anni, né eletto dal popolo, né iscritto nella lista dei poveri o dei poteri deboli, guarda caso firmatario di un “piano B” per uscire alla chetichella dall’Euro. Un ministro proposto da un professore di diritto privato, incaricato Premier, nemmeno lui eletto dal popolo e latore di un programma precotto e surgelato, preconfezionato dalle forze politiche, sia pur disponenti di una maggioranza, che quel ministro intendevano imporre, con cocciutaggine irresponsabile, per il dicastero dell’economia, rifiutando altre soluzioni. La democrazia non è esattamente la dittatura della maggioranza e nemmeno la “popolocrazia”. E sul sovranismo nazionalpopolare, sorvoliamo.
Del Presidente Mattarella, oltre alle offese e alle minacce diffuse in rete, il Movimento 5 Stelle aveva chiesto l’impeachment, poi rientrato perché non ha trovato il consenso della Lega, ma solo dei Fratelli d’Italia. E Di Maio, divenuto, nel bene e nel male, totalmente dipendente da Salvini, con un doppio salto mortale, è tornato dal Presidente. Solo per “dovere” di cronaca, l’impeachment nostrano è regolato dall’articolo 90 della Costituzione che recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.
Ora, di quale mai alto tradimento si sarebbe macchiato il Presidente Mattarella e quale attentato alla Costituzione avrebbe mai commesso, più che rendersene responsabile garante ed autorevole interprete? Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, Presidente della Regione Sicilia, ucciso dalla mafia, è un giurista e un costituzionalista, un galantuomo ed è il nostro Presidente. Non era mai successo che, per ragioni “politiche”, fosse messo in discussione e attaccato il suo ruolo. A me, e non solo a me, sembra si sia trattato di un vulnus istituzionale, un fatto gravissimo per la democrazia e per la Repubblica, che, anche se è stato superato, non deve essere dimenticato. E se c’è stata una debolezza in tutta questa vicenda non è del Presidente, ma delle forze politiche che hanno vinto le elezioni e anche di quelle che hanno perso e di chi lo ha lasciato solo. Lo voglio dire, a maggior ragione, questa domenica, dopo la Festa del 2 Giugno. La Festa della Repubblica, di tutti gli italiani, del nostro Paese e del suo Presidente. E lo dico con orgoglio, da italiano d’Europa.
A pallone si può giocare anche senza arbitro; lo facevamo tanto tempo fa all’Oratorio e finiva spesso a male parole, a volte a botte, finché non veniva il prete, sgonnellando, a dividerci. Per qualcuno c’era una tirata di orecchie, volava anche qualche nocchino. Ma eravamo ragazzi e comunque aveva ragione lui, anzi meno male che c’era.
Alla fine, dopo quasi novanta giorni di anda e rianda, è tornato il professor Giuseppe Conte con la cartellina sottobraccio, dettata da Di Maio e Salvini: abbiamo un governo M5S e Lega con l’appoggio esterno, annunciato, dei Fratelli d’Italia. Populisti e sovranisti in direzione destrorsa: un governo giallo-verde, un governo carioca. Bene, anzi male. Savona dall’Economia è stato spostato, pur senza portafoglio, agli Affari europei e non si capisce se per scherzo o punizione. Il detto garibaldino era “Roma o morte”, nel travaglio governativo è diventato “Savona o morte”: in virtù della pressione della Lega, nata e radicata a nord, il baricentro è salito. Il Presidente della Repubblica si è difeso anche da sé. D’altra parte è un effetto collaterale della democrazia che, in genere, chi prende più voti governa e chi perde sta all’opposizione. Personalmente credo che non poteva essere diversamente, ma che non sarà un bene per il Paese e sto con questi ultimi, confidando che sappiano essere tanto “beati” da tornare primi. Buona domenica e buona fortuna.
Pontedera, 3 Giugno 2018
Libero Venturi