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sabato 12 ottobre 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

​Lettera sulla felicità

di Libero Venturi - domenica 19 aprile 2020 ore 07:30

A mio padre che mi ricordava la mamma morente reclamai i miei diciotto anni. Sono stato un giovane sciocco, anche se diciott'anni li avevo davvero. È ben strana la vita, incomprensibile quando annuncia la morte. Eppure si vive ricercando lo stesso allegria, compagnia, affermazione e amore. Quasi facendo finta di niente. Anche se spesso ci ritroviamo tristi, con poca compagnia, scarso senso di se' e ancor meno amore. L’amore è una cosa già rara di suo, figuriamoci a cercarlo. Nel linguaggio dei segni, quello per i non udenti, uno dei modi per dire ti amo è fare le corna. Il che è tutto dire.

Alla fine ognuno cerca uno stato di grazia che si chiama felicità. Se ne occupò tempo fa anche Epicuro, nella lettera a Meneceo, detta appunto “Lettera sulla felicità”. Per curare i quattro mali che ci affliggono, la paura degli dei, la paura della morte, la mancanza di piacere e il dolore, Epicuro prescrisse un “tetrafarmaco”, composto cioè da quattro formule.

Primo: non bisogna temere gli dei, non perché non esistano, ma perché non possono influire nella nostra vita, che dipende da noi.

Secondo: la morte non è niente per noi “quando noi esistiamo, la morte non c’è e quando la morte c’è, allora non ci siamo più noi”, che non fa una grinza, almeno a pensarlo.

Terzo: il bene è facile a procurarsi. Dipende però, potremmo dire.

Quarto: è facile sopportare il male. E anche questo dipende.

Chissà se il tetrafarmaco potesse essere una ricetta prescrivibile anche in tempi di coronavirus. Magari lo passasse la mutua...

Ma da cosa dipendono i punti terzo e quarto? Dipendono dalla classificazione e conseguente soddisfacimento di “desideri” e “piaceri”.

Secondo Epicuro ci sono infatti desideri “naturali”, fra cui quelli “necessari”, per esempio mangiare se si ha fame, e quelli “non necessari”: mangiare cibi raffinati solo per sfizio. E ci sono desideri “vani”, cioè tutti quelli superflui, come la brama di potere e di ricchezza.

I piaceri, a loro volta, si dividono in “mobili”, rispondenti a un bisogno: come bere se si ha sete. E piaceri “stabili”, che nascono dall’assenza di bisogno o dolore e vengono spesso dopo la soddisfazione dei piaceri mobili.

Desideri e piaceri ovviamente si rincorrono: uno ha sete, avverte il desiderio di bere, beve, appaga il piacere di bere, sazia la sete e poi sta bene. Almeno finché non gli riviene sete. Dipende magari da cosa e quanto si beve. Basta regolarsi. E anche la mancanza di dolore è già un piacere: non mi fa più male urinare e vado che è un piacere. Specie a una certa età bisogna accontentarsi delle semplici gioie della vita. Ma queste sono considerazioni personali.

Per Epicuro l’autosufficienza e la sobrietà diventano la ricetta per la felicità: vivere con poco, con il giusto, liberi dal bisogno, in stato di assenza di dolori del corpo e di turbamenti dell’anima. E avere ed esercitare saggezza. “Non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per essere felici. Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice”. La famosa saggezza epicurea.Tutti valori immortali. In pratica vivere come un dio. Semplice. “Vivrai come un dio tra gli uomini. Poiché non sembra più nemmeno mortale l’uomo che vive fra beni immortali”, dice, in conclusione, Epicuro a Meneceo, che poi sembra fosse suo figlio, di sicuro suo discepolo. Siamo tra il 341 e il 270 avanti Cristo, periodo in cui visse il filosofo. Chissà se il figlio e discepolo gli dette retta, seguì la sua lettera alla lettera e fu felice. Epicuro il cui nome significa “compagno, soccorritore” era figlio di un maestro e di una maga. Fu un filosofo di successo, democratico, egualitario, addirittura vegetariano, un uomo mite. Fondò una scuola ad Atene. Fu anche accusato di condotta immorale. Ma forse erano calunnie di gente invidiosa e anticomunista.

A dire il vero Epicuro apprezzava più l’amicizia della politica, pensava che la politica fosse “un inutile affanno” e l'uomo dovesse essere contento di vivere appartato, in riservatezza. Morì di calcoli renali, dopo quattordici giorni di malattia e la morte lo liberò dal dolore. Sono tremende le coliche renali, anche a prenderle con filosofia, ve lo dico per esperienza diretta. Sarà che filosofo non sono. In punto di morte Epicuro si immerse in una tinozza di acqua calda, “siate felici e memori del mio pensiero”, disse agli amici, bevve il vino e spirò. E queste sì che son vite e morti esemplari! Epicureo fino in fondo, non disse «bel mi’ mori’», ma quasi.

La mia generazione è stata anticonformista, ha privilegiato il sociale e la politica, rispetto al privato. Ha creduto nel cambiamento, addirittura nella rivoluzione. Ha lottato, pur con scarso o alterno successo, per l’uguaglianza e la solidarietà e anche per la libertà e la pace che le generazioni precedenti, con la Resistenza, ci avevano assicurato. Si è battuta per il progresso. La felicità noi s’è vista di sfuggita, col cannocchiale, che, essendo irraggiungibile come il filo dell’orizzonte, va anche bene. E non ci lamentiamo, poteva andarci peggio. Del resto Marguerite Yourcenar scrisse “si può essere felici senza mai smettere di essere tristi” e forse aveva ragione. Un po’ come abbiamo tutti coraggio e paura insieme.

I problemi dell’uguaglianza, anzi della diseguaglianza, oggi si sono spostati a scala planetaria e riguardano il rapporto dell’uomo con il mondo e con la natura. Non la matrigna che ci fece all’affanno, ma nostra madre Terra, l’ecosistema sfruttato e spesso offeso che segue il suo corso e reagisce. Ma noi ora siamo vecchi. I giovani si sentono a corto di futuro, avvertono questa contraddizione stridente, ci schifano, ci considerano “boomer” e non c’è dialogo. Fanculo. Tuttavia starà a loro e non se la caveranno tanto facilmente con la sola rivalsa generazionale. Anche se è nell’ordine delle cose, più che nel loro disordine, uccidere il padre, come si dice. Purché senza esagerare e se non ci ammazza prima il coronavirus. Non dubito che saranno all’altezza e voglio sperare che riescano a cambiarlo o migliorarlo questo maledetto e benedetto mondo. Ci vogliono comunque spessore e visione. Sostanza. Magari senza pesantezza. Forse bisognerebbe davvero togliere peso, oltre che alle ingiustizie, anche al linguaggio e alle cose del mondo. Lo dicono in tanti. Io però non ne sono capace. Ho letto Pavese e non Calvino. Ci penserete voi. Buona domenica e buona fortuna.

Pontedera, 19 Aprile 2020

Libero Venturi

Articoli dal Blog “Pensieri della domenica” di Libero Venturi