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mercoledì 06 novembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

I sentimenti

di Marco Celati - martedì 06 settembre 2016 ore 09:28

L'amore si vendica di noi e sopravvive oltre i nostri abbandoni e tradimenti, oltre le scelte e le nostre stesse vite. L'amore ci resiste. Ci condanna a vivere in sua assenza e nel suo ricordo. Non resta che scriverne: annotare la passione degli incontri e la desolazione delle perdite come in un racconto. Anche se ogni frase descrive scenari, sensazioni, stati d'animo compiuti, slegati tra loro che non compongono una storia. L'amore era stato quella volta, quel giorno, quell'occasione, quell'attimo che sfuggì perché non fu riconosciuto. Bisogna vivere male per scrivere bene.

Giungono voci, stasera. Le reca il vento che porta la pioggia. Sono il fruscio degli alberi oscillanti, il sibilo tra le case del borgo, il frastuono degli uccelli sulla pianta davanti casa. Sono le memorie dei miei cari che tornano e m'inseguono nelle stanze. L'aria annuncia un movimento, una novità irrealizzabile da sembrare a portata di mano. C'è un odore di terra e di erba tagliata, di frumento nei campi. E un cielo che promette acqua, a metà tra minaccia e presagio. Si annuncia per sorprendici, un temporale. Dal terrazzo che guarda la piana mi affaccio, respiro, rivolgo il mio sguardo miope e distratto sul mondo.

Dove siete affetti, miei cari scomparsi dal mondo? Perché tornate a sorridermi ancora dalla foto che colse una vostra finta eternità? Padre e madre, in quella posa che vi ritrae un giorno e per sempre in un giro di ballo. I vostri figli resistono in vita, hanno fatto la loro strada in questo pezzo circoscritto di terra, vicini e distanti. Voi vedete? Esiste qualcosa oltre la vita, al di là della gioia e del dolore di essere vivi? Oltre l'amore e la fine. Penso di no. E che sia solo la nostra memoria che custodisca la vostra per l'onore che ci è caro dovervi e vi spetta. Eppure stasera mi piace credere di rivedervi e sentirvi, anche lontani, anche fantasmi di un tempo tramontato, ma in qualche modo, tra noi o per noi, ancora presenti.

Occorre avere sentimento per le persone e le cose per non essere soli. Sentire che il dolore degli altri è il nostro dolore, che l'amore degli altri è anche il nostro. Sentire la poesia che sottende ogni cosa. Se si guardano dentro le cose se ne coglie l'essenza oltre il nome. Si avvertono l'ansia e la nostalgia della vita. Sotto l'influsso del caso il destino si svolge o siamo noi il caso e il destino, come siamo vita e natura. Ma bisogna avere malinconia di vivere per sentirsi tristi e felici quando capita di esserlo. L'universo sembra dominato dal caos e forse lo è, eppure stasera voglio pensare che siamo stati noi a decidere tutto e che ne sia valsa la pena. Perché quando sorridi il tuo viso si accende e allora mi ricordo per cosa ci si perde e si ama.

Un ricordo indelebile che ho della mia infanzia e riguarda in qualche modo i sentimenti è l'episodio della zia di mia madre. Ero molto piccolo, non rammento nemmeno in che casa eravamo: era una delle prime che i miei genitori abitarono con me primogenito. Venne a trovare la mamma una sua cara parente, mi pare si chiamasse Nella, la zia Nella. "Questo è Marco" la mamma mi presentò, probabilmente con malcelato orgoglio. La zia era una signora mora, vestita di nero e scura di carnato. I nostri parenti erano contadini in Calcinaia, la pelle abbrunata, esposta al sole per il lavoro dei campi. Anche la mamma era bruna, ma vestiva colorato, il babbo era rosso di capelli e lattato di pelle e io biondo e chiaro, come furono sorella e fratelli che vennero poi. Eravamo cittadini: impiegato il babbo, alla Piaggio e la mamma commessa in farmacia. Tutto questo lo seppi dopo o ne ebbi coscienza da grande. La zia mi venne incontro, magari per farmi i complimenti e io molto piccolo, ma già sufficientemente citrullo, me ne uscii con una battuta cattiva, come solo i bambini sanno fare, senza sapere del bene e del male. "Pussa via!" le dissi. Due parole che denotavano un'evidente predisposizione dell'animo all'incontro, allo sviluppo relazionale. Una reazione d'istinto, maligna in cui altre volte nella vita mi sarei con successo esibito. Oltre che un'evidente, innata maleducazione che mia madre subito s'incaricò di correggere. La mia povera mamma, in pace sia, costernata mi impartì infatti una severa lezione. Ma che cosa c'entrano con tutto questo i sentimenti? C'entrano, c'entrano, per due ragioni. Partirò dalla seconda: quell'episodio, che non a caso è uno dei pochi che ricordo di un'età così acerba, mi insegnò, nella vergogna che ancora ne provo, un sentimento di rispetto per le persone, specie per la gente semplice, come anche noi eravamo. E la prima ragione fu che, per trasmettermi l'insegnamento contenuto nella seconda, la mamma, scusandosi con la zia e davanti a lei che mi giustificava prendendo quasi le mie difese, me le dette di santa ragione e con tutti i sentimenti.

Treggiaia, 16 Giugno 2016

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati