Il nespolo
di Marco Celati - sabato 28 maggio 2016 ore 10:19
Davanti casa c'è un nespolo. Qua, dove abito, ci sono capitato per caso, rincorrendo la vita o fuggendo da essa: non lo so più. Del resto anche l'elegante nespolo è originario del Giappone: ne ha fatta di strada. Sto in una specie di agriturismo, un'ex casa vacanze che un tempo i proprietari affittavano agli stranieri nel periodo estivo e ora concedono in locazione a stanziali come me. La ereditarono in parte da familiari e ne rilevarono il resto da parenti lontani: una nuova famiglia che doveva formarsi e che poi andò persa, a quanto si dice. Era una casa colonica in cima a un pezzo di terra da coltivare, a mezza collina, sotto al paese. Sul lato della strada ha un piccolo slargo sterrato e il colle a ridosso, ma dal lato opposto si affaccia sulla valle e guarda oltre: le colline e i paesi lontani che la notte si accendono di luci. E da metà mattina prende, fino al tramonto, il corso del sole. È una cartolina, la campagna toscana.
Il nespolo è una pianta sempre verde che ha bisogno della compagnia di un suo simile per impollinarsi e dare frutti. Questo invece sta solo: potrei coglierne un'indolente similitudine, quasi una vuota allegoria. Ma la mia pianta fiorisce e fruttifica, devono essere stati gli uccelli, mi dicono, nel corso del tempo a compiere il miracolo del trasporto del polline. Gli uccelli infatti vi trovano, tra i rami e le fronde, albergo e riparo: se ne odono i cinguettii, se ne vedono i voli e si avverte il frullio delle ali. Volano liberi e sono liberi. Anche di scacazzare di continuo sull'auto parcheggiata sotto, magari appena lavata. O forse un tempo, accanto alla pianta, ci sarà stato un altro nespolo che è stato abbattuto. Gli alberi impiegano tanti anni a crescere, agli uomini basta qualche ora per sopprimerne la vita. Spesso è arbitrario, a volte necessario. Che i nespoli vengono in genere piantati a due a due me l'ha detto una persona che ho conosciuto da poco per lavoro. È stato Sindaco di un Comune della Versilia. È una persona gentile e squisita. Anni fa ha avuto un lutto gravissimo, l'ho letto sulle cronache di allora. Lui ne parla, a volte, come di una memoria presente e incancellabile per sé e la moglie. La morte di un figlio è un fatto terribile e innaturale: è insopportabile per i genitori sopravvivere ai figli. Non dovrebbe essere consentito da una disposizione compassionevole del destino o da una legge fisica e di natura, come per il tempo che non torna indietro. L'amico Sindaco e la moglie di figli ne avevano fatti due, come si piantano, due a due, quegli alberi da frutto.
In Versilia, da piccolo, mi portarono i miei genitori, a Tonfano. Nella casa di un collega piaggista del babbo. Ho un ricordo di spiagge grandi, ma forse è così che da piccoli si misurano gli spazi e forse allora era una Versilia più popolare e meno frequentata di adesso. Mi ricordo un gran sole e l'acqua del mare celeste che a me ha sempre fatto freddo, anche da grande e più ancora da vecchio. Il babbo con le gambe ossute e il volto cosparso di efelidi, rosso di capelli e bianco di carnagione: con la pelle arrossata, seduto sulla sdraio sotto l'ombrellone, teneva due cappelli di paglia sulle ginocchia a protezione totale dal sole. E la mamma, mora, bella in costume intero, anni cinquanta, mi spingeva sull'altalena del bagno e mi girava la testa, come per vomitare, come quando stavo nell'auto del tassista che ci portava al mare. Mi sentivo stordito e felice. Il bagno si chiamava Oceano, credo ci sia ancora e c'è comunque un oceano di ricordi perduti che via via affiorano alla mente ed al cuore.
Treggiaia, 14 maggio 2016
Marco Celati