Le nozze
di Marco Celati - giovedì 04 giugno 2015 ore 12:39
A Luca Celati, il figlio, Sergio Marrucci, il tipografo, Aldo Remorini, il poeta
LE NOZZE
"Vieni. Ci sta che tu mi trovi, come no. Sono come il vento". Queste parole, che potrebbero benissimo essere l'incipit di un romanzo di Zafon, me le ha regalate, pronunciandole al telefono, un tipografo: uno che i libri non li scrive, ma li stampa.
Un mio figlio, amatissimo, si sposa, l'altro, altrettanto amatissimo, che somiglia più il padre, per ora più che altro si lascia. Si devono stampare le partecipazioni alle nozze e così mi sono rivolto ad un amico, titolare di una piccola tipografia, annunciando la mia visita presso la sua azienda per visionare dei cataloghi, ottenendo quella sorprendente riposta.
Quelle parole, mi hanno colpito per due motivi. Perché rappresentano lo sforzo, l'impegno che tante persone mettono per svolgere il proprio lavoro: quello che hanno o che si sono inventate per vivere o per campare, affermarsi o riscattarsi, per tirare avanti, insomma. Sempre, in ogni momento e in quelli più difficili ancora di più. Sono come il vento: devo correre di continuo, ovunque per cercare lavoro o consegnarlo. È la mia responsabilità, per me e per gli altri che da me dipendono. Talora retoricamente incensato, spesso perso o non trovato, negato, addirittura picarescamente rifiutato, perfino vergognosamente richiamato nel motto Arbeit macht frei, il lavoro accomuna sfruttati e sfruttatori, ma anche coloro, operai o imprenditori, che dal proprio impegno professionale traggono una delle ragioni di vita. Perché è una delle ragioni della nostra vita. Mio figlio ha studiato e ora lavora e ora si sposa: mette su famiglia. Ma per quanti giovani non è così?!
E l'altro motivo per cui le frasi dell'amico tipografo mi hanno colpito è perché richiamano alla mente e al cuore un'altra cosa: gli affetti, gli amori, gli addii e gli abbandoni, le teorie degli eterni ritorni. Vieni? Ma non so se mi troverai. Sono come il vento perché la vita lo è, l'amore, la felicità: soffia e se ne va altrove. "Fuggimi, ma altrove il luogo liberami", scriveva, nella sua opera intitolata, non a caso, "Amosfera", un poeta locale scomparso, un bohémien che voglio ricordare, che aveva pubblicato sulla rivista di scrittura operaia "Abiti-Lavoro".
E quanto disamore circola! Ricordo che tempo fa, ormai il secolo scorso, con le compagne & amiche del temibile "Collettivo Veleno" volevamo organizzare a Pontedera la prima "Festa del Disamore". Invitare ad un comune appuntamento tutti i single, che a quel tempo chiamavamo "le persone sole" con buona pace dell'Accademia della Crusca, e "gli scoppiati", nel senso di coloro che non erano ancora accoppiati o si erano disaccoppiati, e fare festa insieme. Prevista la lettura di Cesare Pavese: "Poesie del disamore". Poi non se ne fece di nulla.
Tanti sono i "disamorifici", i luoghi del disamore: l'Ikea ad esempio è uno di questi. Le coppie partono benintenzionate a mettere su casa, all'Ikea fatalmente litigano e poi ci tornano da single a scegliersi gli arredi dei propri appartamenti: un classico.
Gli uomini soprattutto non reggono il confronto: quanti atroci e vergognosi femminicidi! L'uomo, non inteso come razza umana, ma solo come maschio, sa essere spregevole, la più bestia di tutti. E pensare che gli esseri umani possono essere meravigliosi quando, lo canta perfino una canzonetta ed è musica leggera, hanno il coraggio di essere umani.
Mio figlio si sposa: mi sembra ieri che era bambino, lo tenevo per mano, arrendevole, ma mica tanto, e ora è grande, un uomo, cocciuto come un uomo e s'innamora e lavora e vive da se'. Ed è altro da me. Non sono stato un gran padre, di sicuro un pessimo marito, non so se un buon uomo o una brava persona. Ma mio figlio si sposa con una bella ragazza del sud ed è questo che conta. Il vento ci porta ovunque ci porta e noi andiamo e vediamo perché siamo come il vento: un soffio di vita e di amore.
Marco Celati
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Pontedera 18 Aprile 2015
Questo raccontino descrive due cose vere e importanti: la frase del mio amico tipografo e che un mio figliolo si sposa. Quel mio amico ha sempre speso la vita o gran parte di essa per portare avanti con dignità il proprio mestiere: prima appreso da dipendente e poi esercitato in proprio, ora con la sua famiglia: la moglie ed i suoi figli. Il mio si sposa davvero e mette su famiglia, speriamo sia più bravo di me. È già stato bravo: ha giocato, ha studiato, si è impiegato, ha tirato su casa. Per tanti giovani in questa società non è così. Sentono che per loro il futuro sarà peggio del passato e, a ragione o a torto, si rifugiano in un eterno presente, incerti e increduli del mondo avvenire. E non solo loro. É nostro compito di uomini consegnare loro il testimone, è loro responsabilità riceverlo e andare. A coloro che si applicano nei difficili e diversi impegni del lavoro e dell'amore, questo breve racconto è rispettosamente dedicato.
Marco Celati